Prima l’umiliazione patita dalla Nazionale campione del mondo, tornata a casa dal Sud Africa senza neppure una vittoria all’attivo. Quindi – sabato – il tonfo dell’Under 19 all’Europeo, cacciata dal torneo senza aver segnato neppure una rete e mancando contestualmente la qualificazione al Mondiale 2010 in Colombia. Infine, ad agosto, l’Under 21 che si giocherà le residue speranze di arrivare alla fase finale dell’Europeo in Danimarca contro Bosnia e Galles.
Segnali pessimi per il calcio italiano. E con la sgradevole sensazione che non siano ancora stati colti appieno, visto che la vita scorre serena e incosciente come prima. Alcuni dati semplici dovrebbero però far riflettere chi tira le fila del prodotto pallone. Le Nazionali, innanzitutto: sono tutte in crisi di risultati, a livello giovanile non vincono più nulla dal 2004 e, inoltre, sfornano raramente fenomeni per la prima squadra. I club, poi, con due passaggi: quest’anno – e non si era mai visto – sono state cancellate ventuno società cariche di storia (la Pro Vercelli) e di passione (un milione di tifosi complessivi) e questo è già grave, ma è ancor più grave che non si sia trovato un numero adeguato di altre realtà pronte a sostituirle, visto che sono ancora liberi sei posti in Seconda divisione. Una situazione che dovrebbe far riflettere chi non ha bloccato i ripescaggi, pur avendolo ipotizzato, e chi ha sempre difeso la pachidermica realtà di 132 club professionistici, un “unicum” in Europa. Infine il mercato, con un esempio semplice semplice legato ad Alexander Kolarov: quando il Manchester City ha messo sul piatto 19 milioni di euro, la Juventus non ha potuto far altro che ritirarsi in buon ordine. E ricordiamo per l’ennesima volta come anche grandi club quali Inter (con risultati comunque in controtendenza rispetto alla compagnia) e Milan abbiano dovuto adeguarsi al “prima vendere e poi acquistare” già da una stagione a questa parte.
Una situazione che diverrà maggiormente restrittiva quando l’Uefa introdurrà il fair-play finanziario nel 2011. Questa è la nostra realtà: grandi società che non sono in più in grado di competere a livello internazionale sul mercato; medio-piccole società che vivono soltanto grazie ai contributi delle televisioni (guardate quante di serie B sono state cancellate dopo la retrocessione); vivai che non sanno più costruire ragazzi degni di esibirsi in serie A; stadi non di proprietà fonti di passivi e non di ricavi; tifo violento che tiene lontane le famiglie dagli eventi; Nazionali prese a schiaffi ovunque si presentino. Uno stato della nazione più che preoccupante, dove si dovrebbe intervenire in profondità con il bisturi. Invece se ne parla, e basta, ognuno preoccupato di difendere il proprio particolare senza pensare al bene collettivo. Come è anche – e soprattutto, da noi – il calcio.