Nelle edicole liguri, le copie superstiti del calendario 2011 della Sampdoria conservano sulla copertina un futuro già trascorso, scintillante come la luce di una stella spenta ma persistente nel gioco della distanza: dei tre giocatori effigiati, tutti nazionali, soltanto Palombo infatti è ancora blucerchiato. Gli altri due, ovvero gli attaccanti titolari in azzurro Cassano e Pazzini, si ritroveranno il 3 aprile da avversari nel derby di Milano. Se il barese era già stato ripudiato molto prima del plateale strappo di mercoledì sera, la rinuncia al neointerista infonde sconforto e confusione in una tifoseria sottoposta a una brusca depressurizzazione del desiderio. La Sampdoria dello scorso 16 maggio, quarta forza del calcio italiano, ha fatto la fine di quei vincitori alla lotteria incapaci di sostenere il peso di un’inattesa fortuna, secondo il canone della drammaturgia classica che indicava come il più infelice tra gli uomini quello che avesse visto realizzati i propri desideri.
L’accesso alla Champions League ha infranto i presupposti di una stabilità gestionale ormai consolidata, secondo il pieno equilibrio tra le ambizioni di società, giocatori e tifosi. La proprietà ha comunque ritenuto di non modificare i programmi di austerità, anche per via del pesante passivo (16 milioni) dell’ultimo esercizio, dato non estraneo alla separazione dall’amministratore delegato Beppe Marotta, congedato a vantaggio di Sergio Gasparin, peraltro anch’egli dimissionario dopo soli otto mesi.
Alcuni osservatori, eccedendo forse in malizia, fissano in un congetturale malumore di Garrone verso il suo ex plenipotenziario le reali ragioni dell’improvvisa partenza di Pazzini: se la scorsa estate il patron aveva detto «alla Juve nemmeno per cento milioni», man mano che la società bianconera – difatti protagonista di un affannoso quanto inutile rilancio in extremis – si profilava come la sola pretendente, l’idea di confutarsi pareva insopportabile. Così l’irruzione dell’Inter è parso il modo migliore di perfezionare comunque una buona operazione di mercato, negando al tempo stesso il giocatore alla società bianconera.
Pazzini, tra l’altro, l’estate scorsa era stato indicato tra i protagonisti di una civile ma ostinata “battaglia del grano”, che aveva visto i protagonisti del quarto posto rivendicare adeguamenti retributivi fermamente negati dalla società. Lo stesso presidente, in base all’esperienza di industriale, aveva esplicitamente giudicato inaccettabile quella che purtroppo nel calcio è una prassi consolidata, con i calciatori pronti a battere cassa nei giorni di sole, salvo rinserrarsi nelle tutele contrattuali in caso di fiacco rendimento. Giusta e condivisibile nelle premesse culturali, la questione di principio posta da Garrone (l’osservanza bilaterale dei contratti di lavoro secondo un equilibrio di diritti e doveri) si scontra con la realtà: quanto sia unanime e compatto nell’etica il fronte presidenziale, infatti, è plasticamente emerso nelle more del procedimento disciplinare chiesto dallo stesso patron doriano a carico di Cassano.
A parole, tutti a elogiare Garrone per la scelta di alto valore morale; nei fatti, nemmeno era stato emesso il lodo sulla richiesta di rescissione che già c’era la fila per ingaggiare, e quindi premiare, il reprobo. Mai davvero appassionato, il presidente blucerchiato – sempre franco e leale, nel sottolineare come il suo avvento alla guida della società, in quel febbraio 2002 che vedeva la Sampdoria sull’orlo della C1 e del fallimento, non fosse stato che un puro atto di responsabilità, dovuto al rispetto per la propria storia familiare – pare consolidato nell’usuale pessimismo della ragione: in nove anni l’unica apertura di credito sentimentale, verso un campione che pareva umanamente redento, cui il patron si era offerto a maggio come testimone di nozze e ai primi di ottobre, a pochi giorni dalla lite, come padrino del primogenito atteso in primavera, si è risolta nella più amara delle delusioni.
Tanto che nelle ultime settimane, ben prima della cessione di Pazzini e di quella – non meno indicativa, trattandosi di uno dei migliori giovani del nostro calcio – di Marilungo, Garrone ha più volte ammesso di non escludere, in linea di principio, il disimpegno dalla società blucerchiata, di cui prima di diventare presidente era stato sponsor per sette anni, ai tempi di Mantovani. Un’ epoca che mai come oggi pare arduo ripetere, non meno di indovinare quale sarà la copertina del calendario doriano 2012.