SERIE A – Quattro punti sono pochi e, visto l’andamento ondivago del torneo, distacco facilmente colmabile. Ma, da ieri, c’è una cesura maggiormente significativa tra la zona Champions League (in cui vincono tutte, con controsorpasso del Napoli sull’Inter al secondo posto per tentare l’assalto al Milan lunedì) e il resto del gruppo. Ed è sotto gli occhi di tutti la crisi di crescita di due (ex) grandi alla ricerca di se stesse. Juventus e Roma sono accomunate da due tonfi clamorosi e da un 2011 estremamente complicato. I bianconeri vivono un mezzogiorno da incubo a Lecce, sotto di un uomo per l’espulsione di Buffon dopo pochi minuti e sotto nel gioco per la particolare vivacità dell’avversario. La squadra di De Canio in casa non è mai stata particolarmente rocciosa, ma aveva saputo imporre il pareggio a Inter e Milan. Stavolta ha fatto di meglio, mettendo l’avversario sotto sul piano del gioco, sia in undici contro dieci sia quando Vives è stato espulso. E in questo passaggio è emerso come la Juventus sia tutt’altro che guarita dopo le vittorie su Cagliari e Inter: slegata, distratta, incapace di produrre gioco come di imporre la propria superiorità tecnica. Una prova sconfortante di cui ha dovuto prendere atto Del Neri, che l’ha definita “preoccupante” al di là del risultato.
Ancor più “preoccupante” è la nuova caduta della Roma dove Ranieri abbandona, alzando le mani di fronte a un ambiente divenuto sempre più ingestibile al di là dei risultati negativi. Il tecnico, con i suoi possibili errori tattici, era la foglia di fico rimasta a proteggere un gruppo fatto di primedonne spesso viziate e incapaci di trasformarsi in squadra. Basti, come ultimo esempio, la facilità con cui il Genoa ha rimontato nel secondo tempo dopo essersi ritrovato sotto di tre reti: quarta sconfitta consecutiva (Champions League compresa), con la sottolineatura di 14 reti incassate. Il concetto è stato ripetuto fino alla noia: nel momento in cui si sono prospettati orizzonti alternativi la squadra ha dato piuttosto l’intenzione di lavorare per far recedere il nuovo che avanza dalle proprie intenzioni, visti i risultati e vista l’immaturità di molti protagonisti (le panchine mal accettate, l’insubordinazione verso società e tecnico, entrambi uscenti). Aspetti cui si aggiunge l’immaturità di quei teppisti che pensano di poter combattere le proprie guerre con mezzi di un pessimo passato: proprio quanto necessario per convincere i paperoni d’America del passo che si apprestano a compiere. La strada per costruire un modello vincente appare lunga, ora più che mai.
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In vetta il Milan festeggia i 25 anni con Silvio Berlusconi vincendo sul campo del Chievo e calmando le voglie di chi insegue. Un passaggio atteso e obbligato, dopo quanto (non) si è visto in Champions League contro il Tottenham. La squadra di Pioli era test serio, visto che in casa aveva messo sotto l’Inter di Benitez e il Napoli e aveva pareggiato contro Juventus e Roma. I rossoneri hanno fatto di meglio, ritrovando la vivacità di Pato e la fisicità di Boateng, elementi di cui ci sarà bisogno nel tentativo di scrivere l’impresa a Londra. E c’è anche stato un aiuto sostanzioso da parte di Banti, che non ha visto il “mani” di Robinho sul primo gol come, il giorno prima, Celi non si era accorto del doppio fuorigioco pro-Inter. Non servono contributi simili per puntellare le aspirazioni delle grandi e l’incombente voglia di vittimismo di chi insegue. Lunedì si gioca Milan-Napoli e la conferma della squalifica di Lavezzi ha già caricato parecchio l’ambiente.