Con la condotta in campo e soprattutto con le dichiarazioni dell’immediato dopo gara contro il Barça si può dire conclusa l’avventura di Mourinho al Real Madrid. Lo Special One saluta la Spagna con un titulo in tasca e con l’alibi arbitrale sia nella Liga che in Champions; il tecnico portoghese medita un ritorno a Milano, ma è tentato anche da un altro déjà vu a Londra alla corte del Chelsea. Non ci sono dubbi sul fatto che la dirigenza madridista (Valdano lo pensa dalla prima ora) non è più disposta ad accettare le dichiarazioni di Josè, che ha avuto il coraggio di coinvolgere nei suoi attacchi anche l’Unicef. Mourinho è un grande comunicatore che sa di avere solo una soluzione a disposizione: parlare dell’arbitro e non del match. Una gara che ha visto il dominio sul campo da parte degli uomini di Guardiola largamente rimaneggiati: da una parte c’era un Real troppo rinunciatario con una panchina dai tacchetti milionari, dall’altra un vivaio quello della Cantera pronto a rendersi utile.



L’arrabbiatura di Mourinho è per quel rosso, considerato troppo affrettato dai padroni casa, a Pepe; di certo ha fatto un brutto intervento che poteva essere sanzionato anche con un giallo-arancione, ma forse nel giudizio ha pesato la fama di “violento” del difensore portoghese. Per il resto Josè non può parlare dell’arbitro e accusare il Barcellona pescando negli archivi storici, anche perché – solo per fare un esempio – nel passato recente dello Special One all’Inter c’è un doppio confronto con il Chelsea non proprio così perfetto da parte della terna arbitrale.



 

Ha ragione comunque Guardiola quando dice che Mourinho può contare su un segretario dedicato all’analisi dei precedenti delle singole squadre con gli arbitri, altrimenti non si spiegherebbe la sua cultura nozionistica mostrata anche in Italia. Le compagini allenate dallo Special One finiscono in 10 le gare contro il Barça non tanto per le sviste arbitrali, ma soprattutto perché di fronte trovano una squadra ben organizzata che fa correre il pallone. Non ci sono altre spiegazioni. E lasciamo in pace l’Unicef.

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