“La morte è ingiusta sempre. In un momento come quello che abbiamo vissuto con la morte di Wouter Weylandt però ci si rende conto di qualcosa che un giornalista che segue il ciclismo e che ogni corridore sa, e cioè che andare in discesa a quelle velocità che vanno dagli 80 ai 100 chilometri all’ora può diventare mortale. Se noi pensiamo quanto sia pericoloso impattare contro un vetro a passo d’uomo, possiamo immaginarci cosa voglia dire per un corpo umano che non ha altra protezione se non il caschetto da ciclista – che offre comunque una protezione limitata – un impatto a quella velocità. Una violenza d’urto che può essere appunto mortale”. Con queste parole Davide De Zan, giornalista televisivo ed esperto di ciclismo, ha commentato a IlSussidiario.net.



Secondo lei allora il ciclismo, o meglio, certi percorsi all’interno di gare come il Giro d’Italia, rappresentano un pericolo mortale?  

Direi che bisognerebbe fare una riflessione. Nella Formula Uno si sono create delle vie di fuga in caso di incidenti. Nello sci, dalla libera al super G, le piste sono state progressivamente adattate con sistemi di sicurezza. Solo nel ciclismo siamo ancora, per così dire, ai tempi di Coppi e Bartali. Viaggiare cento all’ora su una gomma larga come il dito di una mano è pericolosissimo.  



Non fa parte però dell’epicità di questo sport, questa sorta di rischio?  

L’epica sono le imprese sportivamente elevate, l’epica quando si rischia la vita non è più epica. Il compito adesso è cercare di limitare i rischi di chi corre.  Si è persa un po’ di vista negli ultimi anni l’importanza della sicurezza. Magari usare qualche cuscinetto qua e là o delle balle di paglia poste sulle discese non sarebbe male. Bisogna far sì che quando passa la tristezza e si ricomincia a correre, tragedie come questa o quella di Casartelli non siano lasciate lì ma ci permettano di fare passi in avanti. Nei prossimi giorni sono previste discese ancor più pericolose, lo stesso Contador aveva detto, guardate che ci sarà una discesa pazzesca. Tanto che si era pensato di utilizzare delle reti come quelle che si usano per lo sci. Allora io dico che discese come quella non devono neanche essere prese in considerazione dagli organizzatori. Non basta più trincerarsi dietro a scuse del tipo: non possiamo mettere in sicurezza duecento chilometri di strada. Duecento no, ma le discese si devono mettere in sicurezza.  



Nell’incidente di oggi ha giocato un ruolo anche una incredibile sfortuna.

Purtroppo sì, un piccolo errore di valutazione ha portato a un evento mortale. Ma ripeto: non facciamo finta di niente, non sottovalutiamo i rischi che ci sono nelle grandi discese, non diciamo che deve essere normale rischiare la vita: i corridori devono essere messi nelle condizioni di massima sicurezza possibile.  

 

E’ giusto continuare il Giro o bisognerebbe fermarsi?  

 

Credo sia giusto continuare. Succederà sicuramente qualcosa, penso a quanto successe con la morte di Casartelli quando tutti andarono in gruppo a passo d’uomo e poi lasciarono vincere la squadra di Casartelli. Sono momenti di grande emozione, il gruppo che diventa una cosa sola, si continua a portare nel cuore il dolore per quel che è accaduto, ma poi poco per volta tornerà a essere il Giro. I compagni di Weylandt sono stati lasciati assolutamente liberi di decidere se continuare il giro o ritirarsi. 

 

Il ciclismo è sport che continua a essere nel cuore degli italiani.  

 

Io direi il Giro d’Italia, soprattutto in un momento come questo. Il Giro d’Italia è più che una corsa, è qualcosa che fa parte della nostra cultura e della nostra storia. Se pensiamo che si corre dal 1909, è incredibile. Ci ha coinvolti tutti: chi non ha seguito almeno un pomeriggio, magari ai tempi in cui il mio babbo faceva la telecronaca. Ai tempi di Coppi e Bartali l’Italia si fermava, si divideva per loro e poi tornava a riunirsi. Poi sono arrivati i grandi dualismi: Gimondi e Mercx, Saronni e Moser, Bugno e Chiappucci. Quante volte l’Italia si è fermata per le avventure del giro. Oggi tutto si ferma perché è accaduto qualcosa di tragico, un evento che ferma tutta l’Italia.  

 

Gli scandali del doping non hanno intaccato tutta questa passione?

 

Purtroppo sì, l’hanno intaccata eccome. Negli ultimi anni ho scritto più articoli su casi di doping che su corse di ciclismo. Il fatto è che non siamo davanti a un caso isolato, gli episodi si ripetono con frequenza devastante. La credibilità di questo sport è stata intaccata, però il fatto di vedere ancora gente che segue il Giro vuol dire che una speranza questo sport ce l’ha. Spetta ai dirigenti e ai corridori far leva su una cultura della fiducia e della bellezza che possa far rinascere questo sport.