Una, due, tre. Le lacrime cominciano a scendere. Piano, semplici. Gli occhiali da gara tendono a coprire, a nascondere, a non svelare il lato umano dei corridori del Team Leopard. Intorno al traguardo c’è silenzio, nessuno ha voglia di parlare. Un silenzio rotto solo da un applauso, semplice e discreto, delle migliaia di appassionati e di semplici cittadini che oggi hanno voluto chiudere questa quarta tappa del Giro d’Italia, rendendo omaggio a Wouter Weylandt. Tanta retorica, tante frasi fatte e forse forzate sono state dette e scritte, in queste ventiquattr’ore, per cercare di dare un senso alla morte di un ciclista, di un ragazzo di ventisei anni, uno come noi. In silenzio ci si ferma a guardare quell’arrivo, tutti insieme, con le lacrime che scendono più veloci e bucano le lenti degli occhiali. Tutti insieme abbracciati, tenendosi per mano, con il gruppo a qualche centinaia di metri di distanza, in segno di rispetto nei confronti del dolore da parte degli amici e colleghi del belga. Numero 108 presente. Tre parole lette e intraviste molte volte durante i 216 chilometri che da Genova portavano la carovana rosa a lasciare la Liguria per arrivare in Toscana nella Versalia. «Professionalmente parlando è stato il giorno più brutto della mia vita» ci racconta un collega ieri presente alla tragica tappa. «Conosco ogni centimetro di quei tornanti che ho fatto un sacco di volte con i miei amici ciclisti. Un dolore indescrivibile» dice con la voce ancora emozionata.
Lo stesso dolore che spingerà Tyler Farrar a lasciare stasera il Giro. Lo statunitense era amico fraterno di Wouter. Ore e ore passate insieme a macinare chilometri, a scherzare, a ridere, com’è è giusto che sia tra giovani amici. Lui era l’intruso al centro della fila degli uomini della Leopard. Lo hanno voluto accogliere, il suo dolore era il loro dolore. Molti corridori tagliano il traguardo, si fanno il segno della croce. Un gesto semplice, cristiano. Toccante e commovente. Come le campane suonate a distesa al passaggio del giro all’altezza del Santuario della Madonna di Montenero, che domina Livorno e guarda dall’alto il mare, che oggi luccicava più del solito. Come le lacrime di ognuno di noi.
(Francesco Montini)