La serietà, vivaddio, a volte paga davvero. Si parla solo di calcio e questa piccola storia è quella del Novara, squadra che domenica scorsa ha conquistato la promozione in serie A. La serietà è quella di una famiglia di imprenditori brianzoli di adozione, i De Salvo. E’ da lì e da loro che nasce questa piccola storia di sport. Proprietari di una fitta rete di cliniche radicata soprattutto in Piemonte, i De Salvo, forse a tavolino, nel 2006 decidono di acquistare il Novara Calcio, squadra di provincia dal bel passato remoto (dovuto molto al fatto che nel calcio il Nord Ovest dell’Italia, dove il pallone era sbarcato dall’Inghilterra a fine Ottocento, è stato l’avanguardia nel Paese per tutta la prima metà del Novecento) ma da una trentina d’anni militante nelle vecchie serie C1 (poche) e C2 (troppe). I De Salvo, si diceva. Nei primi due anni allestiscono squadre dignitose per la C e nulla più. Ma investono, non in giocatori o allenatori, ma nel mattone, da bravi italiani. In un paese appena fuori città, tra le risaie attorno a un mulino del Seicento, fanno costruire un centro sportivo davvero d’avanguardia, siglano accordi, attraverso il progetto Sestante Azzurro, con le giovanili dei centri più importanti dell’area, il Piemonte Orientale, quella fetta verticale della Pianura Padana che va dal Monte Rosa alla Lomellina, con frequenti sconfinamenti appunto nella dirimpettaia Lombardia.



 

Insomma creano un’azienda, con un ambiente sereno, gente serena che sembra lavorare volentieri. Nell’estate 2009 si costruisce la squadra che stravince il campionato di Lega Pro e che costituirà l’ampia ossatura di quella che in serie B conquisterà la serie A. Anche qui senza spendere grosse cifre, prendendo giocatori svincolati o poco in vista, grazie alla competenza e alla serietà del direttore sportivo Pasquale Sensibile e dell’allenatore Attilio Tesser, già terzino sinistro dell’Udinese di Zico negli anni 80. Il risultato è quello che chi segue il calcio ha visto nei giorni scorsi. Un risultato non scontato, per carità. Per fortuna il calcio resta uno sport e non basta avere visione imprenditoriale e conti a posto per vincere. La bala l’è tunda, il pallone è rotondo, per fortuna. Ma stavolta è rotolato a favore di chi ha lavorato bene. Di chi forse se lo merita.



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