La gioia più grande di Mino Favini, 76 anni il 2 febbraio, è quella di vedere «ragazzi che diventano buoni professionisti e ottime persone, perché l’avventura calcistica finisce presto», mentre la vita vera è tutta un’altra storia.  Nel suo passato da calciatore ha vestito diverse maglie, su tutte quelle di Brescia, Atalanta e Como; da dirigente ha sviluppato prima un settore giovanile molto forte al Como e poi negli anni Novanta ha accettato, vincendo ampiamente la scommessa,  la sfida del presidente atalantino Percassi. Talent scout dal buon fiuto, ha saputo creare e formare un settore giovanile invidiato in Italia e in Europa. E finalmente si può parlare di Atalanta senza per forza far riferimento alla spiacevole vicenda del calcio scommesse: dietro al piccolo miracolo della rosa allenata da Colantuono c’è, infatti, un lavoro che parte da lontano, da un settore giovanile che fa crescere i ragazzi e sforna uomini. La bravura di Favini e di chi come lui lavora in società medio-piccole risiede proprio nel fare un investimento nel lungo periodo.
Sembra scontato (in Italia) che chi ha la possibilità economica di scegliere punti su atleti già formati, gente già collaudata; «corrono il rischio di sbagliare, ma non come chi deve pensare a un percorso più lungo e prendere in considerazioni gli anni della formazione. I tempi sono ovviamente diversi. Società come l’Atalanta investono su ragazzi che hanno 10/11 anni e che, portati avanti, possono diventare interpreti di grande livello; le compagini più quotate scelgono, invece, tra i calciatori già affermati».  Quando racconta il lavoro del settore giovanile, frutto di anni di esperienza, porta sempre l’esempio «clamoroso della passata edizione del torneo di Viareggio: siamo arrivati in semifinale e abbiamo perso ai rigori con l’Inter» un club che come gli altri più quotati pesca i giocatori, anche giovani, in ogni continente.
L’orgoglio di Favini è quello di aver messo in campo, nella massima vetrina internazionale giovanile, una formazione di ragazzi cresciuti nella scuola calcio atalantina. Oggi tutti questi ragazzi giocano nei campionati professionistici. I loro volti a molti non dicono ancora nulla, ma i loro nomi sono già sui taccuini degli addetti ai lavori: Daniele Baselli in serie B al Cittadella, Nadir Minotti (aggregato alla prima squadra, ha già debuttato a 19 anni nella massima serie), quattro alla Tritium «dove stanno facendo bene. Questi risultati, per citarne solo alcuni, dimostrano un differente concetto di formazione della squadra primavera: quando arrivano in primavera sono già infatti compagni di squadra da 6/7 anni. Si forma così un concetto di appartenenza e di attaccamento incredibile alla maglia che indossano». Più sono ragazzini e più si sviluppa anche un rapporto parentale, dove Mino  è un secondo padre, oggi potremmo dire un secondo nonno, perché «ci si affeziona: li vedo fin da piccoli e fino a quando diventano uomini e arrivano, i più fortunati, in prima squadra».
Favini al termine di ogni quadrimestre va alla Casa del giovane di Bergamo per controllare da vicino le pagelle dei suoi baby calciatori. Non è un mistero, infatti, che «la crescita da calciatore sia legata a quella personale; se si allena la testa, si sa stare anche in campo». 



In questi 21 anni da responsabile del settore giovanile ha visto passare diversi atleti , ma non tutti hanno soddisfatto le attese. «Ci sono ragazzi nei quali credevo molto e nei quali non ho ancora smesso di credere come Christian Tiboni (1988) e Michele Marconi (nato nel 1989 e un gol in serie A nel 2008 contro il Genoa); in questi casi bisogna cercare nel loro aspetto caratteriale il punto debole». Ci sono altresì anche ragazzi «che non avevano grandissime qualità, ma che con l’allenamento costante stanno dando qualcosa di importante. Un nome? Salvatore Molina, classe 1992, gioca titolare nel Foggia. Potrei dire anche Moussa Konè (classe 1990) che non ha grandi qualità tecniche, ma ha spirito di sacrificio e volontà: non a caso è titolare in una squadra importante (il Pescara) con un allenatore altrettanto importante (Zeman)».
Per il momento i paragoni con il modello della cantera blaugrana sono «azzardati, ma a Bergamo si cerca di dare ai ragazzi dei concetti di base, curando l’aspetto tecnico e la compattezza del gruppo. Comunque non siamo ai livelli del Barcellona, ma abbiamo fatto buone cose, anche recentemente. Pensate a Nadir Minotti, a Manolo Gabbiadini (nel giro dell’under 21),aEmanuele Suager e a Marcello Possenti: qualcuno di questi farà parlare di sé». Il modello Atalanta deve scontrarsi anche con il mercato e, quindi, con le sirene dei campionati esteri (soprattutto la Premier League) che vengono a tentare con contratti importanti i baby fenomeni. Succede anche, però, che molti di questi finiscano nel dimenticatoio. «La colpa non è dei ragazzi, ma di quelle persone che vivono ai margini dei ragazzi e che li lusingano con guadagni facili senza rispettare il concetto di formazione; ai genitori dico di avere pazienza».
In passato l’Atalanta e la Juventus hanno avuto un rapporto privilegiato si pensi all’indimenticato Gaetano Scirea o allo stesso Domenico Marocchino; alla Juve, seguendo un altro percorso, sono arrivati anche due calciatori cresciuti da Mino Favini: Zambrotta quando Mino era al Como e Motta nel periodo dell’Atalanta («sta giocando poco, ma ha solo 25 anni»). E il prossimo chi sarà? La scelta è ampia. «So che Gabbiadini è appetito anche dalla Juve. Sì, è vero in passato c’è stato un rapporto tra le due squadre, un rapporto che può continuare anche nel futuro». Adesso occhi puntati sul Viareggio, anche se quest’anno la Primavera non ha attraversato una buonissima prima parte di stagione, ma «tre o quattro buoni da mettere in mostra ci sono». Parola di Favini. Una garanzia.



(Luciano Zanardini)

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