La morte di Piermario Morosini, centrocampista venticinquenne del Livorno, lascia senza parole. Per la dinamica -il giocatore si è accasciato all’improvviso, a palla lontana- ma soprattutto perchè denuda, per l’ennesima volta, la nostra impotenza di fronte alla morte. A livello medico, si è trattato di un infarto: in queste ore si sta discutendo sulla presunta insufficienza dei servizi sanitari, sul tempismo o meno dei soccorsi, sulle misure precauzionali da rinforzare e altre questioni. Per cercare di inquadrare la tragedia da un punto di vista medico ilSussidiario.net ha intervistato in esclusiva il dottor Piero Volpi, storico medico sociale dell’Inter negli anni ’90 del secolo scorso. Ecco le sue dichiarazioni.
Dottor Volpi, è possibile che casi del genere si verifichino anche in soggetti cosiddetti “sani”?
Assolutamente sì. C’è proprio una forma, la cosiddetta morte improvvisa nello sport.
Cioè?
Riguarda proprio una categoria di persone che sono controllate, e non hanno anomalie riscontrabili con gli esami di routine. Ma che poi nel corso della carriera sportiva purtroppo possono andare incontro a fenomeni di questo tipo. Ma vorrei ricordare una cosa.
Che cosa?
Che proprio in Italia, e nel mondo occidentale, questo fenomeno è stato ridotto di molto con i controlli preventivi, che hanno ristretto le casistiche in cui si possono verificare queste situazioni. Però non è una cosa assolutamente eliminabile.
A tal proposito: a livello di sicurezza si può fare qualcosa di più o non c’è davvero niente da fare?
Per come è la situazione legislativa in Italia relativa allo sport, noi abbiamo un ottimo standard di controllo, sicuramente uno fra i migliori al mondo, almeno per il settore professionistico.
Per quello amatoriale invece?
Esiste anche lì una normativa che prevede l’obbligo di una visita d’idoneità. Forse in questo settore ci sono un pò più di rischi.
Perchè?
Perchè magari le visite non sono effettuate con la tempestività necessaria. In questo settore è importante che si vigili su come le visite vengono fatte. Però fare meglio di così è difficile. Non dimentichiamo un’altra cosa.
Che cosa?
Quando un atleta viene controllato e si trova un problema si fanno ulteriori controlli e approfondimenti, non lo si lascia in sospeso. Proprio recentemente ci sono stati atleti fermati dai controlli dell’idoneità sportiva.
Pensiamo anche al caso Cassano.
Certo. è’ stato valutato, controllato, trattato e poi riportato all’attività. Ma posso citare un altro caso, che mi riguarda più da vicino.
Si riferisce a Nwankwo Kanu?
Esattamente, questo per dire che non è che ci siano solo tragedie, ci sono anche tante situazioni che si risolvono. A memoria, nel calcio italiano, questo episodio di Morosini ricade a 35 anni da quello di Renato Curi. Si tratta di casi veramente eccezionali.
A livello psicologico, come comportarsi con un atleta cui viene riscontrato un problema potenzialmente grave? Sarebbe meglio fermarsi, o ci sono le condizioni per andare avanti senza rischi?
Se gli esami affermano che il giocatore è idoneo, e quindi non corre particolari rischi in più, è chiaro che può riprendere con serenità la propria attività. E’ vero che ci sono anche dei problemi psicologici, ma piano piano si riescono a vincere, aiutando l’atleta.
L’esempio di Kanu che ha citato prima in effetti è lampante…
E’ uno dei casi più clamorosi, di cui ho avuto testimonianza diretta.
Che ricordo ha?
L’hanno operato al cuore e gli è stata rimodellata una valvola. Lui poi con tranquillità un anno dopo ha ripreso a giocare e gioca tuttora; non ha poi avuto tanti problemi psicologici: ha fatto ancora più di dieci anni di carriera.
Ad una persona che gioca a calcio, anche non necessariamente nel professionismo, cosa consiglierebbe per provare a prevenire tale situazione?
A chi fa attività agonistica, dico di fare bene la visita d’idoneità ogni anno, e rispettare quelle regole che già ci sono.
E a chi gioca tra amici?
Consiglio di prepararsi bene allo sport, considerando che lo sport oggi non è un passeggiata. L’attività sportiva va presa seriamente.
Che significa?
Prepararsi bene, allenarsi, e conoscere il proprio corpo. Uno a vent’anni può fare certe cose, mentre a sessanta ne può fare altre: oggi invece si vedono delle esagerazioni in tutti i sensi. In questo senso aiuta fare delle valutazioni presso il proprio medico di base, che conosce da anni il fisico del proprio assistito.
Possiamo dire che casi del genere siano favoriti dal fatto che il calcio sia molto più atletico di qualche anno fa?
Sì. Questo è un altro discorso che si può fare, e una sfida per il futuro.
In che senso?
Per capire se oggi lo sport in generale, e quindi anche il calcio, non sia arrivato a livelli di intensità, e di esasperazione non solo fisica, ma anche psicologica, per lo stress e la competitività. Che sono tali da poter determinare delle forme di rischio.
Come per esempio?
I traumi, sono sotto gli occhi di tutti. Almeno a certi livelli si ha un’incidenza maggiore nella traumatologia. Questi aspetti devono essere attentamente valutati, per capire se ad un certo punto ci dobbiamo fermare.
(Carlo Necchi)