Quest’oggi, la partita di campionato tra Genoa e Siena, valevole per la 34esima giornata di Serie A, è stata sospesa all’ottavo minuto del secondo tempo, sul punteggio di 4-0 per i toscani. L’interruzione, poi protrattasi per 40 minuti, è stata causata dalla contestazione dei tifosi genoani, che infuriati hanno preteso che i calciatori del Grifo si togliessero le maglie, dopo le esibizioni indegne dell’ultimo periodo. I giocatori hanno eseguito, ammucchiando le proprie casacche al centro del campo, in un momento davvero surreale. C’è chi ha provato a parlamentare con gli ultrà, come il capitano Marco Rossi e Beppe Sculli; chi invece si è rifiutato di sfilarsi la maglietta, come il portiere Frey; o chi invece, come Giandomanico Mesto, non ha saputo trattenere l’amarezza scoppiando in lacrime. Sull’episodio è intervenuto il presidente del CONI Petrucci, che ha definito l’accaduto un “sacrilegio sportivo”. Le richieste dei tifosi rossoblù sono andate anche oltre la volontà del presidente Preziosi, che sceso sul terreno di gioco non ha saputo fare nulla per evitare che i giocatori si levassero le maglie, come preteso dagli ultrà. La partita si è poi conclusa col risultato di 1-4. Per avere un parere sugli avvenimenti di Marassi,ilSussidiario.net ha intervistato Roberto Perrone, giornalista genovese e genoano del Corriere della Sera. Ecco le sue impressioni:
Perrone, ha visto la partita del Genoa oggi pomeriggio?
Purtroppo sì, l’ho vista.
Come commenta l’interruzione causata dalla rabbia dei tifosi?
Cosa dobbiamo dire? Sono episodi che succedono spesso negli stadi italiani. Lo sport, il calcio, è nelle mani di 50 persone che possono fermare le partite in questo modo, è già successo più volte.
Come giudica in questo senso i recenti provvedimenti di sicurezza per gli stadi?
Sono tutte stupidaggini. La tessera del tifoso, i tornelli eccetera: sono panna montata sul calcio, che ormai è ostaggio di pochi individui, come del resto il Paese intero. L’Italia è bloccata da pochi e questo nel calcio si ripercuote in modo clamoroso.
Nel dopogara, il presidente Preziosi ha dichiarato che “abbiamo la cultura del tifo ma non quella dello sport”: condivide?
Per niente. A parte il fatto che non giustifico il rapporto causa-effetto: se il Genoa sta per retrocedere è perché la società stata sfasciata da una politica industriale priva di senso.
Detto cio?
Non mi allineo alle dichiarazioni di Preziosi, né a quelle di Abete: io posso dire che quanto è successo oggi è uno scandalo, loro no. La questione è generale.
Cioè?
Se il calcio italiano è così scadente è colpa loro, dei dirigenti. Loro devono tacere: che un episodio come quello di oggi sia uno scandalo possono dirlo i tifosi. Quello che dice Preziosi non ha peso specifico, perché è chiaro che non riescono e non possono governare il calcio.
Marassi ha un precedente, quello di Italia-Serbia: può essere un problema dell’impianto, troppo esposto ai tifosi?
Ma allora qualsiasi stadio inglese avrebbe grossi problemi ogni week-end. Sono tutte stupidaggini, non è un problema di impianti. Fossero stati allo Juventus Stadium probabilmente sarebbero davvero entrati in campo.
Qual è il problema dunque?
Il problema non sono gli stadi, ma la gente che ci va. Mi chiedo una cosa: questi 50 individui, questi pochi ultrà, sono riconoscibili? Dovrebbero stare in galera, finchè li si lascia a piede libero il problema persiste. Gli stadi italiani potranno anche essere brutti, ma il problema è la gente.
Il fatto è capitato pochi giorni dopo la scomparsa di Piermario Morosini. Dopo la quale ne abbiamo sentite tante: cosa è rimasto della morte?
Non resta niente. E’ stato un avvenimento vissuto come emozione, e non come cambiamento. L’emozione, se non produce un cambiamento, è un involucro vuoto.
Come legge tutto il movimento che la morte di Morosini ha generato?
Tutti coloro che si sono mossi nel calcio, non hanno capito che serve un cambiamento della persona in quello che fa. Ripeto, in questo senso la morte di Morosini è stata inutile, perché ha prodotto un’emozione ma non una riflessione.
Che tipo di riflessione intende?
Uno sguardo nuovo sulle cose. Noi ci commuoviamo, anche per Morosini ci siamo commossi; ma se la commozione non è accompagnata da un passo del genere è inutile.
Un problema umano, potremmo dire: come lavorarci su?
Con l’educazione, ma fin da piccoli. E in questo caso anche con la repressione, comminando pene giuste e più severe. Le due cose vanno portate avanti insieme.
Il calcio può contribuire a questa educazione?
Spesso si parla dell’esempio dei calciatori, che i calciatori devono dare. Ma sono balle: quando mio figlio si accorgerà dei comportamenti dei calciatori, la sua mentalità si sarà già formata. Il vero problema educativo è un altro.
Quale?
Sono le figure dei genitori, e degli allenatori nel calcio. Io ho visto cose assurde, anche nel calcio amatoriale, a livelli di CSI. Dove ci sono arbitri, pure scelti dalla società, insultati pesantemente dai genitori della squadra stessa. Il punto è che bisogna educare i ragazzi fin da piccoli.
Nell’ultrà medio italiano, di una vicenda come quella di Morosini non è rimasto nulla?
Nulla. E non solo in un ultrà, ma in chiunque resta un vuoto privo di cambiamento, e si va avanti come prima. Sarò anche cinico da questo punto di vista: del resto, ognuno ha quel che si merita. La Thatcher, la lady di ferro, l’anno avuta gli inglesi.
Ha letto la lettera scritta al Sussidiario.net da Luca Rossettini, difensore del Siena, dopo la scomparsa di Morosini?
Sì, l’ho letta.
Cosa ne pensa?
Mi ha colpito, perché racconta di un vero cambiamento, lanciando una domanda su di sé. Anche lì però: in una situazione normale, una lettera del genere avrebbe dovuto avere più risalto, invece non ce ne si è accorti più di tanto. L’ho detto anche a lui.
Lo conosce?
Posso dire di essere un amico di Luca. Quello che ha scritto è stato un momento importante, alto, di riflessione. Mi ha interrogato tanto.
(Carlo Necchi)