Alla rievocazione storica della 1000miglia di quest’anno, che si è chiusa proprio ieri, ha partecipato anche la Porsche 550 Spyder che guidava James Dean quando è morto. Un’auto meravigliosa, geniale, eppure per tutti è “la maledetta”…
Certo che voi siete proprio strani. Sì, sì, intendo proprio voi, voi uomini. Intendo voi genere umano. Chi più, chi meno, ma certo siete strani. Siete talmente convinti di essere il centro, l’origine del mondo e delle cose, che avete smesso di guardare quello che c’è per guardare quello che non c’è. Non è chiaro? Mi spiego meglio, anzi, faccio un esempio, così forse anche voi potete capire. Faccio il mio esempio specifico. Io sono un’auto. Non un’auto qualunque, ok, questo ve lo concedo, però sono un’auto, un insieme di pezzi di metallo, gomma, rame, vetro, pelle… ma quando mi guardate voi cosa vedete? Un’auto? No. Voi vedete “la maledetta”.
Mi avete messo questo nome, questa etichetta, e anche adesso che di ciò che ero è rimasto ben poco continuate a chiamarmi così. Perché? Io sono un’auto, un pezzo di ferro. Un signor “pezzo di ferro”. Il mio nome all’anagrafe è Porsche 550 Spyder, ma ormai nessuno mi chiama così. La colpa è del mio primo padrone, che mi ha subito ribattezzato “piccola bastarda”. Poi è morto mentre mi guidava, e io da bastarda sono diventata maledetta. Io. Fatemi capire, io dovrei essere la vittima. James non è morto uscendo di strada perché non ho ubbidito ai suoi comandi, non si è schiantato contro un muro senza freni, non è bruciato per un corto circuito, no. E’ andato a sbattere contro un’altra macchina, una banalissima Ford guidata contro mano da un giovanotto distratto. E la maledetta sono io? E lui?
Poi ovviamente i pezzi avanzati dall’incidente sono stati usati per altre auto. Un medico è morto mentre correva in pista con il mio motore, colpa della maledetta. Un altro ha rischiato la vita con il mio semiasse, colpa della maledetta. Un ragazzo si è fatto male mentre ero esposta a una mostra, colpa della maledetta. Smembrata, fatta pezzi, dimenticata, scomparsa. Ero finalmente riuscita a sparire, a diventare solo un ricordo, invece il mio destino di maledetta non era finito. Anzi. Come ho fatto a ricomparire nel 1996 proprio qui, in Italia? Se ve lo dicessi mi direste che è proprio vero, che sono maledetta. No, questo segreto me lo tengo stretto.
Sono tornata in vita nuova fiammante, anche se di me restava in realtà ben poco: il telaio in traliccio di tubi, parte della carrozzeria e poco di più. Io fiera e felice di essere tornata a essere quella meravigliosa, incredibile creatura nata dal genio e dalle mani di Ferry Porsche, figlio del povero Ferdinand, io che ero nata per correre e rinata per far voltar la testa, per attirare sguardi e invidia sono tornata a essere soltanto la maledetta. Voi mi guardate e cosa vedete? Un’auto? No. Una superstizione.
Cosa vi è successo in questi cinquant’anni che non sono stata tra voi? Io sono la bellezza, la velocità, la tecnologia, e invece? Per voi sono solo la sfiga. Stupidi umani, cosa ne è dei vostri occhi? Credete che non me ne accorga quando passo per le città attraversate dalla 1000miglia? Credete che non veda che vi date di gomito, sussurrate sotto voce, toccate ferro e quanto credete possa mettervi al sicuro da me, la maledetta? No, io non posso farvi nulla, tutto il male possibile ve lo state facendo da soli, perdendovi ciò che di bello la realtà vi ha messo sotto gli occhi, ciò che di geniale i vostri simili hanno realizzato e tutto questo perché ho avuto la sfortuna di portare su di me un simbolo? Di essere il punto di morte di una leggenda?
Io sono qui per dirvi: guardate lo splendore del metallo disegnato dal vento, udite il suono dei miei quattro cilindri contrapposti, ammirate l’eleganza e la cura con cui sono stata sognata, disegnata, prodotta. Se potessi vorrei urlare davanti a quei vostri occhi annebbiati e alle vostre dita incrociate: guardate me, ME! Ma non c’è niente da fare. Ormai io sono la maledetta, e da troppi anni siete impegnati a guardare ciò che credete invece di credere a ciò che guardate. Ormai è tutto inutile. Io ci sono. Voi? Potete dire altrettanto?
(Paolo Covassi)