Evidentemente è il nostro refrain: in Europa dipendiamo dalle decisioni altrui sui nostri conti, all’Europeo dipenderemo dalla correttezza altrui sul nostro futuro. Un ritornello che stiamo ascoltando ormai da otto anni. Nel 2004 l’Italia – dopo due pareggi – viene eliminata dal “biscotto” nordico infornato al punto giusto da Danimarca e Svezia. Serviva un 2-2 per andare ai quarti e buttare fuori gli azzurri, e 2-2 fu. Con la beffa del pareggio svedese di Jonson siglato al 44′ st. Perfetto per senso del tempo e per tentativo di nascondere dietro una foglia di fico quello che era palese a tutto il mondo. O, almeno, a tutto i continente. Nel 2008 l’Italia – dopo essere stata demolita dall’Olanda al debutto e dopo aver pareggiato contro la Romania – deve sperare in una sconfitta di quest’ultima. E la squadra di Marco Van Basten, sia pure ormai qualificata (tanto di cappello ancor oggi) batte i romeni e ci concede di proseguire dopo un successo sulla Francia. Nel 2012 la storia si ripete per la terza volta, perché Spagna e Croazia potranno tranquillamente mettere in cantiere un pareggio per 2-2 (oppure con più reti) per andare avanti, poiché così prevede il regolamento. Noi potremmo battere anche 10-0 l’Irlanda e nulla cambiera, visto che siamo e saremo fregati – causa l’equilibrio negli scontri diretti per punti e differenza reti – da quanto abbiamo segnato contro Spagna e Croazia.



Un pareggio, quello contro la squadra di Slaven Bilic, che non solo conferma quanto ci sia indigesta la Croazia dopo la disgregazione dell’ex Jugoslavia (sei confronti e nessuna vittoria), ma che è anche un passo indietro rispetto all’1-1 del debutto contro la Spagna. Se allora si era parlato di mezza vittoria, stavolta si deve ragionare di totale sconfitta. Perché la classifica ci condanna e perché gli azzurri hanno arretrato sul piano della mentalità: poco concreti in attacco e troppo remissivi nell’atteggiamento, dopo aver messo la partita sul binario giusto grazie a Pirlo. Ha ragione Prandelli a dire che gli avversari hanno pareggiato sull’unico errore nostro ma è altrettanto ragionevole dire che è stata la nostra gestione della partita a concederlo Perché una squadra conscia dei propri mezzi avrebbe tenuto il campo con autorità, una squadra invece poco consapevole del proprio valore ha concesso campo alla Croazia: buona squadra sì, ma certamente non di fenomeni.



E così non ci resta che attendere, come nel 2004 e come nel 2008. Sarà inutile che qualcuno si butti sul patetico, appellandosi alla correttezza e al fairplay, che tanto piacciono all’Uefa e al presidente Michel Platini. Si tratta di puro esercizio retorico perché, come ha detto Gigi Buffon, in certe situazioni nel calcio sono meglio due feriti di un morto. Indovinate un po’ a chi toccherà questa volta…

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