Ieri è arrivato il verdetto della perizia richiesta dalla Procura di Pescara sulle cause della morte di Piermario Morosini, il centrocampista del Livorno stroncato da un malore in campo sabato 14 aprile, durante la partita dello scorso campionato di serie B Pescara-Livorno. La sua morte commosse tutta Italia, sia perchè ovviamente la morte di un giovane apparentemente in piena salute colpisce sempre tutto, sia perchè la storia umana e personale di un ragazzo sempre positivo e legato ai veri valori della vita nonostante una storia familiare drammatica impressionò davvero l’intera opinione pubblica (clicca qui per accedere allo speciale dedicato alla sua morte). Ora, come detto, si sa di più sulle cause di quella tragedia: a stroncare la giovane vita di Piermario fu una “cardiomiopatia aritmogena”. Questo è il risultato emerso dalla perizia chiesta dalla Procura di Pescara: dietro al nome quasi incomprensibile per i non addetti ai lavori si cela una malattia di probabile origine genetica che produce aritmie ventricolari. Per la precisione, si tratta di una rara forma di malattia cardiaca di origine genetica (e quindi ereditaria) che consiste nella progressiva sostituzione delle cellule muscolari del cuore con grassi.
La cardiomiopatia aritmiogena è considerata la causa più frequente di arresto cardiaco negli sportivi di alto livello: anche la morte del calciatore del Siviglia Puerta nell’agosto del 2007 fu causata proprio da questa malattia ereditaria. Le 250 pagine della relazione – scritta dal professor Cristian D’Ovidio, incaricato dalla procura di Pescara di far luce sulla tragica vicenda – chiariscono che gli effetti della malformazione erano in fase iniziale, quindi si trattava di una patologia “probabilmente molto difficile da diagnosticare”. Ora la parola torna al Pubblico Ministero della città abruzzese, Valentina D’Agostino, che dovrà decidere come far proseguire le indagini sulla morte di Morosini. Di certo ci sono almeno due punti che andranno ancora approfonditi: la difficoltà dell’ambulanza per raggiungere il campo a causa dell’auto dei vigili urbani che ostruiva l’accesso allo stadio, e il mancato uso del defibrillatore. Su quest’ultimo punto in particolare si è acceso il dibattito, perchè se la cardiomiopatia aritmogena è davvero difficile da diagnosticare, l’uso del defibrillatore avrebbe comunque dato a Morosini più possibilità di salvarsi.
La dottoressa Cristina Basso, perito di parte della famiglia Morosini, ha detto in proposito: “L’uso del defibrillatore avrebbe dato qualche chance in più di salvezza a Piermario”. Di certo ha inciso anche il fatto che Morosini fosse un calciatore perchè – prosegue la Basso – “in un atleta questo tipo di malattia genetica aumenta i rischi di arresto cardiaco di cinque volte, perchè lo sforzo è uno stimolo in negativo”.