Danilo Di Luca rischia la squalifica a vita per essere stato trovato positivo a un controllo antidoping lo scorso 29 aprile. Il ciclista abruzzese aveva appena trovato una squadra, la Vini Fantini-Selle Italia, per partecipare al Giro d’Italia: il presidente gli aveva dato la possibilità di riscattarsi dopo i precedenti casi di doping nei quali era già stato coinvolto, ma ecco un nuovo scivolone di Di Luca, che ha potuto partecipare alla Corsa Rosa ma è stato mandato a casa a tre giorni dalla fine, quando sono arrivati i risultati dell’esame galeotto. Essendo recidivo, ecco perché la Procura Antidoping del Coni ha avanzato una richiesta così severa. In ogni caso, per lui ci sarà una lunga squalifica, che gli impedirà di avere un futuro nel mondo del ciclismo. La vicenda solleva interrogativi sia sulla vicenda personale del ciclista (perché voler tornare a tutti i costi utilizzando ancora il doping e venendo scoperto ancora una volta?) sia sulla presenza del doping nel ciclismo, e più in generale nello sport. Di certo è necessaria una educazione culturale diversa, che fin dalle categorie giovanili sia decisamente contraria al doping.. Per parlare di tutto questo abbiamo sentito il giornalista e telecronista Rai Francesco Pancani, voce dei principali eventi ciclistici. Eccolo in questa intervista esclusiva per IlSussidiario.net.



Cosa pensa della vicenda Di Luca? Credo che sia una vicenda triste di un corridore che ha sbagliato. In effetti penso che Di Luca non subirà la radiazione a vita, non è stata mai data. Avrà una sospensione di 12 anni, che almeno a livello formale non è una pena così dura, anche se ti toglie del tutto dal mondo del ciclismo.
Perché questo continuo uso di sostanze dopanti da parte del corridore abruzzese? Questa è una cosa inspiegabile. Il presidente della Vini Fantini, che è abruzzese, ha voluto dare un’opportunità di riscatto a uno sportivo abruzzese illustre come Di Luca. Ma il ciclista è stato trovato positivo a un controllo antidoping ancora prima dell’inizio del Giro, anche se poi si è saputo l’esito solo a Giro quasi finito. Forse è stato un atteggiamento sbagliato di questo corridore, un suo modo particolare di intendere il ciclismo.



Cosa vuol dire? Di Luca fa parte di una generazione di corridori del passato, in cui c’è ancora una mentalità sbagliata nell’affrontare questo sport. Almeno una parte di loro era così. Ci vorrebbe un’evoluzione culturale, un modo di atteggiarsi diverso rispetto a questo sport.
E’ ancora esteso il doping nel ciclismo? Questo non lo so, penso che ci siano corridori che fanno uso di sostanze dopanti e altri corridori che non lo fanno.

Forse dipende dal fatto che si corre troppo? Non è questo il problema. Gilbert ha detto appunto che il doping si deve al fatto che si corre troppo. Due anni fa però, quando vinceva tutto, non diceva queste cose. E nemmeno la scorsa stagione, quando vinse il Mondiale.
Cosa si può fare per fermarlo? I controlli che si fanno sono tanti; la prima cosa, ripeto, è la questione culturale, insegnare a non doparsi, a non fare uso di queste sostanze. Questo va insegnato soprattutto ai ragazzi.
Sono solo i ciclisti responsabili di tutto questo? Non sono solo loro, questo è certo, ma quando lo sono vanno condannati in ogni senso. Non tutti i ciclisti però sono così, vedi Nibali che cerca di fare le cose in modo normale, corre la sua stagione tra altri e bassi, senza essere sempre un corridore invincibile.
Pensa che sia un problema che riguarda tutti gli sport? Penso di sì e mi chiedo perché quando si parla di doping si tiri in ballo solo il ciclismo. Negli altri sport, vedi il calcio o il nuoto ad esempio, non si fanno controlli così forti. Sarebbe giusto usare misure uguali per tutti, ma forse ci sono troppi interessi per arrivare a questo. (Franco Vittadini)