Siamo davvero alla fine di un ciclo? Forse sì o forse no, ma certo il 4-0 incassato in casa del Bayern Monaco è roba grossa per il Barcellona. Le semifinali perse lo scorso anno erano state un semplice incidente di percorso: il rigore sbagliato da Messi, 180 minuti di catenaccio del Chelsea, troppe attenuanti perchè si potesse parlare di fine delle trasmissioni. Qualcuno ci aveva sperato con il 2-0 del Milan: abbiamo poi visto come è andata a finire. La disfatta di ieri sera è altra cosa: un tonfo così fragoroso i blaugrana non lo provavano dal 1994, notte di Atene; non serve ricordare che partita era. Con la quarta finale in otto stagioni sfumata, è inevitabile chiedersi se il Barcellona degli illegali sia finito qui. Sia come sia, vale la pena fare un’analisi del perchè si sia arrivati a questo punto, perchè chi scrive è convinto che non si tratti di una semplice serata storta o di un processo naturale che ha condotto all’Allianz Arena straripante di sciarpe biancorosse in festa, bensì un preciso punto di approdo di una gestione sbagliata. In, fondamentalmente, due punti. Ecco quali.



17 milioni per Alexandr Hleb e 16,5 milioni per Martin Caceres nel 2008; 14 milioni per Keirrison e 25 milioni per Chygrynskiy nel 2009; 40 milioni per Fabregas nel 2011; 19 milioni per Alex Song nel 2012; e altri ancora. Il Barcellona ha speso tanto in questi anni, e sempre per giocatori che non sono mai stati titolari. Qualcuno è sparito dalla circolazione senza mai giocare (Keirrison), qualcuno è tornato alla base immediatamente (Chygrynskiy), qualcun altro non si è particolarmente messo in luce (Hleb). Fabregas ha giocato certamente bene, ma sempre fuori ruolo e con minutaggio a singhiozzo, tanto da risultare un acquisto semi-inutile mascherato dalla forza della squadra e dalla sua qualità. Senza dimenticarsi di Ibrahimovic, per il quale è stata realizzata una minusvalenza dopo essersi resi conto che lo svedese non rientrava nei progetti tattici di Guardiola. Questo ha portato la squadra a non avere mai forze fresche che entravano nella formazione tipo, dava fiato ai titolari e apriva a una rivoluzione senza che crollasse tutto in un solo colpo. A questo si aggiungono operazioni sbagliate in uscita: vero che con Yaya Touré si è realizzata una plusvalenza, ma oggi l’ivoriano avrebbe fatto un gran comodo in mezzo al campo.



Discorso legato: di fenomeni veri, ultimamente, possiamo citare solo Messi e Piqué e, tornando più indietro nel tempo, Puyol, Xavi e Iniesta. Gli altri (da Pedro a Thiago Alcantara, da Bartra a Montoya) sono tutti buoni giocatori che però hanno garantito un ottimo rendimento solo quando le cose giravano alla perfezione, dimostrandosi invece poco maturi e caratterialmente “deboli” quando c’era bisogno di fare il passo in più. E poi, va fatto un discorso tecnico: i giovani del Barcellona sono stati educati a giocare un certo tipo di calcio, il con possesso palla e fraseggi nello stretto. Ne è stata ampliata e perfezionata la tecnica di base, ma non gli è mai stato insegnato a crescere come singolo giocatore, bensì come ingranaggio di un sistema. E’ la spiegazione del perchè un giocatore come Bojan, che pareva un fenomeno in blaugrana, in Italia non ha sfondato.



Questi due punti portano a una semplice conclusione: il Barcellona non si è evoluto come squadra. La storia insegna: anche il Milan di Sacchi, che era una macchina perfetta, un bel giorno fu fermato. E’ successo ai catalani: che giocano così da almeno 10 anni (anche da prima in realtà), da quando cioè Frank Rijkaard si è seduto in panchina. Guardiola ha perfezionato tiki taka e pressing alto, ha portato il sistema Barcellona al suo massimo, poi ha dovuto accettare l’inevitabile calo. Inevitabile? Non troppo: 

Con acquisti mirati e maggiori responsabilità personali ai giovani, non si sarebbe arrivati a un calo fisico degli “immortali”. Puyol non regge questi ritmi da un paio di stagioni, eppure ha sempre dovuto giocare; e se guardiamo la squadra che ha vinto la Champions League nel , sette undicesimi di quella squadra sono gli stessi di oggi. Anzi otto: nella serata di Roma, Dani Alves era squalificato. A indicazione della fatica e delle difficoltà ad intervenire in corsa, il fatto che da cinque anni il Barcellona non compra nessuno a gennaio. E’ logico che anche la squadra più forte del pianeta, dopo un po’, possa essere fermata se premesse tecniche e, peggio, giocatori, restano identici. Ecco spiegato il crollo degli ultimi tempi, con il suo culmine massimo nel disastro di ieri sera. Dall’altra parte, la squadra del momento – il Bayern Monaco – ha messo insieme uno dei due modelli da seguire: ha sempre azzeccato gli acquisti, accettando di spendere tanto ma mettendosi in squadra giocatori titolari e fondamentali, portando all’evoluzione della formazione e del suo credo calcistico. Con Robben in campo, Heynckes sfrutta al massimo le fasce; senza di lui, si avvale del grimaldello Muller che fa il finto esterno ma gioca in un altro modo. Diversi stili, la stessa aggressività. Il secondo modello è quello del Manchester United, che a differenza del Barcellona ha puntato sulla crescita del singolo giocatore al di là del modulo (che Ferguson ha più volte cambiato nei 27 anni di guida dei Red Devils); è la crescita di un progetto attraverso la responsabilizzazione del singolo, che impara così a essere utile a più livelli (Phil Jones gioca in tre ruoli diversi, Valencia ha imparato a fare il terzino). Acquisti non necessariamente di prim’ordine, ma diventati giocatori veri sotto l’attenta disciplina di Sir Alex. Che, infatti, da più di un decennio è in cima all’Europa, pur se anche lui deve accettare qualche logica annata meno riuscita. Capito, Barcellona?

 

(Ettore Gatti)