“In Inghilterra mi amano. Mi amano i tifosi, mi ama la stampa, mi amano tante squadre, in particolare una. In Spagna non è così, in Spagna mi odiano”. Caro Mourinho, questa volta non ci sono appelli. Nemmeno con frasi storiche da appendere ai muri o celebrare in qualche filmato d’epoca, nemmeno con la dialettica propria di un genio della comunicazione. No, José: questa volta lo schianto c’è stato, e pure pesante. Sarà anche vero che il Real Madrid è uscito a testa alta sfiorando una clamorosa rimonta, ma a conti fatti, a 180 minuti finiti, a giocatori sotto la doccia, il computo della doppia sfida dice che il Borussia Dortmund va in finale, e che le Merengues per la terza volta consecutiva sono eliminate ad un passo dall’ultima partita. E così, dobbiamo aggiornare il calcolo: 11 anni senza Champions League, e diventeranno 12 prima di poter dire, forse, che i Blancos quella Decima l’hanno alzata. Caro Mourinho, il fallimento è completo. Il futuro si chiama Chelsea, dove – questo sì – ti amano e ti aspettano per alzare insieme la Coppa, e dove Abramovich ha già preparato una super campagna acquisti per assecondare le tue manie. Intanto, però, fanno tre anni senza Champions, tre anni senza una finale, tre anni in cui, ad andar bene, lo Special One avrà vinto quattro titoli; di cui però due sono Cope del Rey, e uno la Supercoppa. Certo: almeno nei confini nazionali, la supremazia del Barcellona è stata messa a tacere, con una Liga stravinta e una stagione – questa – in cui le Merengues non hanno mai perso dai blaugrana; però, siamo davvero convinti che Florentino Perez volesse solo questo? Era sicuramente uno dei punti sul contratto, ma a un certo bel momento tutti si aspettavano lo scatto in più, il colpo di genio, la campagna europea portata a compimento, e poi magari sì, un addio silenzioso, come già avvenuto. E invece no. Nonostante uno squadrone, un insieme di giocatori da far rabbrividire chiunque, nonostante i soldi spesi (circa 120 milioni di euro in tre stagioni), Mourinho non ha vinto la Champions League, e se ne andrà senza averlo fatto. Gli era successo una sola volta: con il Chelsea, dove ora torna per rimediare, e perchè la supremazia delle due suqadre di Manchester nei confini nazionali sta oscurando i Blues. Alla fine, il vero errore di Mourinho a Madrid è stato questo: non capire che la piazza ha la vittoria nel sangue e non aveva bisogno di un aizzatore di folle. Non era l’Inter, dove c’era bisogno di cementare gruppo e società, crearsi un nemico e puntare contro quello: ad Appiano Gentile la tattica fu geniale e funzionò, perchè di quello c’era bisogno. I giocatori lo seguirono al volo, non qui; qui, vicenda Casillas a parte, Mourinho si è inimicato i senatori dello spogliatoio insistendo sul concetto del barcellonismo come un male da creare a tavolino, senza capire – lui che a Barcellona c’era stato, e avrebbe dovuto sapere – che la rivalità affonda le sue radici ben oltre il calcio, e alimentarla a oltranza avrebbe fatto solo male, soprattutto se mentre si parla di arbitri e Unicef quegli altri ti prendono a schiaffi sul campo. In tutto questo, è mancato l’aspetto tattico, e qui i nervi vengono allo scoperto: 



La verità è che lo Special One avrebbe meritato di uscire già contro il Manchester United (come da lui stesso ammesso) e che contro il Galatasaray se l’è vista bruttissima senza poterci fare molto. Così, non appena Cristiano Ronaldo è calato e Ozil e Higuain si sono mangiati gol oratoriani, tutti i limiti del Real Madrid (in primis quello di non avere un gioco) sono venuti fuori dinanzi a una macchina, quella di Klopp, che non sarà smaliziata e “arrogante” come la Casa Blanca ma a calcio sa giocare eccome, e si è visto. Mourinho è stato umiliato tatticamente, anche ieri sera: dopo 15 minuti di fuoco la sua squadra si è spenta, incapace di trovare un modo per vincere la partita. Perciò, caro José, non ce ne volere ma è giusto dirlo: quando si perde, la colpa è anche dell’allenatore. Postilla finale: tutti coloro che al primo tonfo del Barcellona sono spuntati come funghi alle prime piogge declamando il decalogo dei motivi per cui i blaugrana meritavano di perdere e avevano sinceramente stancato con il loro palleggio infinito, forse ora una parolina al Mourinho che è uscito frastornato per la terza volta in fila come un pugile suonato per 12 riprese dalla semifinale di Champions League potrebbero dirla. O non sarà che il bel calcio e l’epica del gol “sporco” con il cambio di gioco da 40 metri, in fondo in fondo, c’entravano poco?



 

(Claudio Franceschini)

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