Quando cadono i giganti, lo schianto si sente. Eccome. Vedere il Barcellona prendere tre gol sul proprio terreno e perdere l’imbattibilità casalinga in Europa dopo 21 partite ha quantomeno sorpreso, per non dire che ha fatto male. Soprattutto, non eravamo abituati a vedere facce tristi vestite di blaugrana, Messi avvolto nel giaccone in panchina per novanta minuti, Xavi e Iniesta sostituiti prima del 70esimo minuto. Mai successo: la Pulce di solito è in campo anche al 20% (vedi PSG, vedi gara di andata contro il Bayern Monaco) mentre a Xavi e Iniesta gli ultimi minuti di riposo sono stati dati quando avevano forse 13 anni e sognavano di giocare nel Dream Team di Johann Cruyff o nella squadra di Louis Van Gaal (a seconda dell’età). Per non parlare poi di certe umiliazioni: uno in due gare il Barcellona non lo subiva dal 1997, quando le aveva prese dalla Dinamo Kiev di Shevchenko e Rebrov ed era mestamente uscito al primo turno di Champions League. Allora il vice di Van Gaal era un certo José Mourinho (e c’era anche André Villas-Boas come assistente): uno che anni dopo nel vedere una catastrofe simile un mezzo sorrisetto l’avrebbe tirato fuori – ma oggi no, impegnato anche lui a gestire un fallimento. Il problema è un altro: quel Barcellona non è questo Barcellona. Quel Barcellona cercava di ricostruire dopo la fine di un ciclo vincente, con quattro campionati consecutivi vinti e due finali di Coppa dei Campioni giocate. Questo Barcellona, invece, alla fine del ciclo pare esserci arrivato: quando Gerard Piqué ha maldestramente infilato in porta il cross di Ribery si è capito che i fantasmi aleggianti sul Camp Nou erano lì per un motivo, e che il presagio dato dall’annuncio che Messi non avrebbe giocato era di quelli funesti. Il Barcellona è eliminato dalle semifinali di Champions League per il secondo anno consecutivo: non è tanto il risultato in sè, quanto il fatto che per la prima volta in 5 anni i blaugrana siano stati messi sotto sul piano del gioco, demoliti sul loro stesso terreno che è quello del pressing alto e delle verticalizzazioni improvvise, della corsa non fatta tanto per fare ma muovendosi invece a blocchi di giocatori, per occupare più spazio stancandosi di meno. Ieri sera il Barcellona è stato il Bayern Monaco, sul quale bisognerà aprire un capitolo a parte (ma ci sarà tempo e modo di farlo). La precedenza agli sconfitti: dopo aver detto del Real Madrid, anche la seconda spagnola cade in maniera fragorosa, ma qui si tratta di una cosa diversa. Si è detto:
“Ma guarda un po’, proprio nei giorni del processo Fuentes il Barcellona crolla fisicamente”. Ebbene, noi preferiamo visitare ed esplorare la visione “garantista” (così l’ha chiamata lui) di Roberto Perrone che, ieri sera, a (E’ sempre) Calciomercato su Sky Sport ha semplicemente esposto che“magari capita che un giorno trovi la squadra che ti asfalta”. Tutto qui: il Barcellona ha trovato il Bayern Monaco ed è stato asfaltato. Il calcio è semplice: non per forza bisogna vederci le dietrologie o i disegni di una cupola superiore per spiegarsi dei risultati che la carta non spiegherebbe. Basta riassumerla così: forse il tiki taka catalano, specialmente senza un Messi sano a finalizzarlo, perde di efficacia e nell’Europa di oggi non è più così definitivo. Allora, per ripartire, ci vorrà tempo, e scelte oculate (ne avevamo già parlato); può non essere la fine di un ciclo perchè i calciatori giovani ci sono e basta solo farli giocare e maturare, ma ora più che mai si sente il bisogno di una svolta. E di una domanda: Pep, accidenti, ma perchè hai mollato?
(Claudio Franceschini)