Alzi la mano chi, dotato di buona memoria e appassionato di tennis, non ha pensato a George Bastl nel momento in cui Sergiy Stakhovsky si è sdraiato sull’erba di Wimbledon per festeggiare la vittoria al secondo turno del torneo contro Roger Federer. Era il 2002: solo due anni prima, Pete Sampras aveva vinto il suo settimo Championship. Altro punto di contatto: nel 2001, era stato eliminato da un giovanissimo Roger Federer, ma questa è un’altra storia. Per tornare a George Bastl, l’allora 27enne da Chicago (ma svizzero di nazionalità: la storia si fa intrigante) sconfisse Pistol Pete al secondo turno di Wimbledon, togliendo all’americano di origine greca la possibilità di andare a conquistare l’ottava corona londinese. Se avete memoria ancora più affinata, ricorderete cosa si disse allora: “Sampras deve ritirarsi, Sampras non ne ha più, che pena vederlo così”. Due mesi più tardi, Pete faceva il verso a tutti andando a vincere un commovente US Open, l’ultimo della sua straordinaria carriera: il quattordicesimo Slam, all’epoca record. Poi arrivò Roger Federer che, dichiarando apertamente di aver avuto lui come idolo – e chi poteva dire il contrario? – riscrisse tutti i libri; fermandosi però a sette titoli di Wimbledon. Campione lo scorso anno quando tutti lo davano per semi-bollito, Re Roger si è presentato ai nastri di partenza dei Championships in fiducia, avendo vinto ad Halle appena prima di volare a Londra. Nella borsa, il sogno di diventare il primo uomo nella storia a sollevare otto trofei sul centrale dell’All England Club. E’ finita come sappiamo e come abbiamo raccontato, e con la fortissima analogia della caduta di Sampras. Quando un campione perde, la notizia fa rumore; quando una leggenda viene abbattuta ancora nella prima settimana, c’è materiale per rivoltare la storia. Il punto però non è questo: il punto è che nel gennaio 2010 Roger Federer ha vinto il suo sedicesimo Slam, gli Australian Open, battendo in finale Andy Murray. Una vittoria giunta giusto in tempo per far ricredere chi aveva iniziato a storcere il naso quando lo svizzero era caduto contro Juan Martin Del Potro agli Us Open. Ecco: il problema è che da allora si sono giocati 14 tornei Major e Federer ne ha vinto uno solo, il già ricordato Wimbledon 2012. Ora, vero che Roger è sempre e comunque arrivato in fondo (detiene il record di quarti di finale conquistati, oltre che di semifinali consecutive giocate); tuttavia, quando si è di fronte a un campione del genere, degno di essere candidato al titolo platonico (e impossibile da assegnare) di più forte di sempre, anche solo un’eliminazione contro un emergente Murray o un Djokovic sulla breccia fanno scalpore. Arriviamo così alla domanda che in tanti si saranno fatti, e che magari avranno immediatamente scacciato dalla mente per paura di darsi una risposta: dovrebbe Federer appendere qui la racchetta al chiodo? I paragoni con gli altri sport sono tanti: pensiamo allo Schumacher triste su Mercedes, o al Valentino Rossi che arranca dietro i baby fenomeni spagnoli. Attenendoci al tennis, l’esempio di Sampras dovrebbe stare lì a dimostrarlo: il campione può avere il guizzo in qualunque momento. Tuttavia, prendendola da un altro lato, va pur detto che il Federer che abbiamo visto negli ultimi tempi non è neppure più l’ombra di se stesso. Il fisico non regge, la testa c’è sempre ma è dura comandare un corpo che non ti segue quando trovi un avversario, come lo Stakhovsky di ieri, che rimane mentalmente dentro la partita. Lo svizzero è stato un campione in questo: anche in condizioni fisiche non perfette ha vinto le partite con classe e psicologia. Peccato che contro gli altri big questo non basti più: le lezioni prese da Nadal a Indian Wells e Roma, per stare sul presente, sono lì a dimostrarlo. Di più: quando la distanza dei set si allunga, anche contro giocatori fisici e regolari la salute diventa un problema. E allora, si apre un ragionamento: è pur vero che ci sono veterani (Tommy Haas su tutti) che stanno nel circuito senza problemi, avanzano nel tabellone e ogni tanto hanno il picco di prestazione che gli permette di centrare magari una semifinale. Però, Haas non è Federer, Hewitt non è Federer, nessuno oggi è Federer: una leggenda vivente che non può accettare di vivacchiare in attesa che tabellone, condizioni esterne e avversari poco concentrati gli diano l’occasione. Appena dopo aver vinto il Roland Garros Serena Williams, che di Roger è coetanea, ha detto: “Smetterò quando capirò di non poter più vincere uno Slam”. Probabilmente il Re deve pensare la stessa cosa: se gioca, è perchè sente dentro di sè che può ancora dare qualcosa di importante. L’analogia però è impietosa: Serena domina le avversarie e dà la sensazione di poterlo fare anche tra due anni, mentre Federer ormai può perdere da chiunque. Durissimo dirlo e scriverlo, ma va accettato. E allora, chissà che Roger dopo questa batosta non ci stia davvero pensando; o se abbia immaginato, mentre usciva dal centrale sotto una straordinaria ovazione (perchè Roger è Roger, anche e soprattutto quando perde) se l’aver ripercorso la carriera di Sampras non significhi che anche per lui ci sarà un ultimo, inatteso Slam. Già: e se quello Slam fosse stato Wimbledon un anno fa? (Claudio Franceschini)



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