Chissà cosa deve essere passato nella testa di Sabine Lisicki quando nel terzo set ha fatto il break ad Agnieszka Radwanska e si è trovata 5-4 e il servizio in mano per andare in finale a Wimbledon. Chissà cosa le è passato per la testa, con il campo centrale in visibilio (schierato da qualche giorno tutto per lei) e quattro punti da vincere per un sogno. Piccolo flashback: qualche ora prima, Marion Bartoli si era già guadagnata l’accesso in finale, schiantando in una semifinale senza storia e sinceramente bruttina per lo spettacolo Kirsten Flipkens (6-1, 6-2 il punteggio finale, maturato in 62 minuti). La francese ha dimostrato di essere migliorata sul piano dell’affabilità e della serenità, ha abbracciato l’avversaria e nell’intervista post partita l’ha omaggiata a lungo prima di concedersi a opinioni sulla finale e sul suo gioco; ha detto di aver dormito prima della semifinale, ha riso molto, ha fatto capire che rispetto a quando si era giocata il titolo sei anni fa, perdendolo, è un’altra persona, cosa che naturalmente ha avuto un’influenza più che positiva sul suo tennis. Torniamo allora avanti con l’orologio. Chissà cosa avrà pensato, dicevamo, Sabine Lisicki quando è andata a servire sul 5-4: agli infortuni alle caviglie, prima una e poi l’altra; alla semifinale di due anni fa sicuramente. Al secondo turno si era trovata a fronteggiare due match point contro Na Li, vincitrice del Roland Garros; era fuori dalle prime 100 al mondo dopo essere stata al 12esimo posto, era appena rientrata nel circuito, era a Wimbledon, avrebbe detto più tardi in lacrime, per divertirsi, e cercare di stare in campo il più a lungo possibile. Era finita con la vittoria sulla cinese, seconda di quattro consecutive (nel 2010 non aveva giocato a Londra) contro le vincitrici dell’Open di Francia, e con una sconfitta contro Maria Sharapova ad un passo dalla finale. L’anno dopo Sabine ci aveva riprovato: rivincita su Masha, quarti di finale e battaglia epica, persa, nel derby con Angelique Kerber. Quest’anno partiva con una testa di serie (la 23) ma un tabellone complicatissimo, fatto di avversarie tutte tra le prime 50 al mondo, e Serena Williams agli ottavi. Sappiamo tutto: le ha battute, è volata in semifinale dove ha incrociato la racchetta contro la Radwanska, numero 4 al mondo e finalista dei Championships un anno fa. Si pensava: l’esperienza, alla fine, farà la differenza. Deve averlo pensato, tra le altre cose, anche la tedesca quando dal 5-4 si è trovata sotto 5-6, con le sue opportunità fallite. Qui però la polacca ha peccato di presunzione: pensando di avere in mano la partita sotto il piano mentale, si è limitata a rimandare di là la pallina, aspettando gli errori della Lisicki. Alcuni sono arrivati, ma non a sufficienza: già due palle break sul 6-6, annullate dalla Radwanska, poi il break per salire 8-7. Stavolta, Sabine non ha tremato: il primo match point la polacca l’ha annullato, ma sul secondo il servizio esterno e il dritto lungolinea della tedesca è stato micidiale. Sdraiata sull’erba con il tabellone che indicava in suo favore e, ancora una volta, abbandonata a un pianto liberatorio (ci siamo abituati in questi giorni: ma dopo aver battuto Kaia Kanepi si era contenuta), la Lisicki ha finalmente potuto pensare che sì, è finale e sì, sabato sarà sul centrale per il primo titolo dello Slam. Per come gioca, se lo merita; ma c’è un’avversaria da battere, l’ultima, prima di festeggiare davvero. Il discorso vale anche per la Bartoli, perchè anche la francese ha affrontato prove durissime, sia pure di diversa natura, per potere un giorno tornare a giocarsi un Major; perchè sarà anche vero che per entrambe è come se il loro Wimbledon l’avessero già vinto, ma centrarla davvero, la vittoria, sarebbe tutt’altra cosa. (Claudio Franceschini)



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