Sarà Rafael Nadal a sfidare Stanislas Wawrinka nella finale degli Australian Open 2014. La Rod Laver Arena ha emesso il suo verdetto: in 2 ore e 24 minuti. Nessun miracolo per Roger Federer: nessuna resurrezione emozionale, nessuna finale svizzera, nessun trucco magico da parte di Stefan Edberg che pure, alla vigilia della semifinale, aveva confidato con ghigno sardonico di conoscere qualche trucchetto. Ormai non bastano più nemmeno questi, nè è bastato il grandissimo stimolo dell’eliminazione di Novak Djokovic dall’altra parte del tabellone, o due brillanti vittorie su Jo-Wilfried Tsonga e Andy Murray, o la vescica alla mano di Rafa. La realtà è che Nadal è più forte: lo dicono i numeri, 23-10 nei precedenti e 5-0 negli Slam da quando perse al fotofinish la finale di Wimbledon 2007. Ci sarà un motivo, se contro Roger il maiorchino ha vinto quasi il 70% delle partite giocate; il motivo è che i colpi mancini di Rafa, quel dritto uncinato che rimbalza nei punti e nei modi più impensabili e la grande costanza da fondo, a Federer hanno sempre dato fastidio. Che fosse Nadal la nemesi del Re si era capito presto, fin da quella serata londinese del 2008, quando infine era stato lo spagnolo a sdraiarsi sull’erba. Svanisce così il sogno di Federer di rimettere le mani su uno Slam, che gli manca da Wimbledon 2012: è l’unico che ha vinto negli ultimi 13 tentativi. Anche oggi però gli va dato l’onore delle armi: a 32 anni tanti altri (e si vedono in ogni torneo) arrancano nei tabelloni alla ricerca di una vittoria di prestigio in un secondo o terzo turno, e lui invece arriva – costantemente o quasi – nella seconda settimana, a giocare contro i più forti. Resta uno dei più grandi di sempre e l’inevitabile declino dettato dall’età non può scalfirne il mito. Anche così, anche se Nadal ha sofferto meno che con Grigor Dimitrov (l’erede del Re, per la prima volta qui all’altezza delle aspettative) e Nishikori. Roger si è affossato su quel primo set perso al tie break: è crollato psicologicamente e fisicamente, lo si è visto benissimo. Ha comunque tirato fuori dal cilindro 34 vincenti (più di Nadal, che ha chiuso con 28), ma per contro ci ha messo 50 errori gratuiti. E poi la frustrazione: ogni volta che si è trovato 0-30 o 15-30 sul servizio dell’avversario, l’altro recuperava sempre. Due volte ha avuto la possibilità del break: 



Una l’ha sfruttata, l’altra no, ed è finita lì. Ci riproverà a Wimbledon: di mollare non se ne parla, non ancora, e poi quando ti alleni con un maestro del serve & volley come Edberg hai il dovere di provarci un’ultima volta nel giardino di casa tua. A caccia dell’immortalità: otto titoli a Londra, come nessuno mai. Intanto Nadal è in finale: è alla diciannovesima finale di uno Slam, la terza agli Australian Open che ha vinto solo nel 2009. E’ strafavorito contro Stan Wawrinka: 12-0 nei precedenti, che dicono tanto ma non tutto. Dovesse vincere, sarebbe per lui il quattordicesimo titolo dello Slam, tre in meno di Federer. Lo batterà? Ai tifosi dell’uno o dell’altro certamente interessa, agli spettatori imparziali forse – ma per altro motivo. Vada come vada, e che l’aggancio arrivi già a fine 2014 o meno, per ora ci godiamo la finale. Nella speranza che altre Nadal-Federer arrivino a deliziarci, anche se forse ormai non è più la stessa cosa. 

(Claudio Franceschini)

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