Fosse stato ancora vivo, Winston Churchill avrebbe dovuto cambiare uno dei suoi aforismi più celebri. Avrebbe dovuto riadattarlo a Serbia e dintorni visto che, da quelle parti, le partite sono affrontate come una guerra ancora prima di arrivare a un risultato che stabilisca vincitori e sconfitti. Proprio da un match di calcio ha anche – origine il conflitto che ha condotto alla frantumazione di quella che una volta era conosciuta come Jugoslavia. Colpa del calcione che Zvonimir Boban rifila a un poliziotto durante gli scontri tra tifoserie in occasione di Dinamo-Stella Rossa il 13 maggio 1990 allo stadio Maksimir a Zagabria: la scarsa sopportazione (eufemismo) tra croati e serbi viene sublimata da quel gesto, per essere replicato poco dopo in un conflitto armato.



Ventiquattro anni dopo cambia lo scenario, non mutano le tensioni. Lo stadio è quello del Partizan, a Belgrado. La Serbia ospita l’Albania per una partita importante non soltanto per la classifica ma anche per i risvolti storico-politici. Il Kosovo è una ferita rimasta aperta troppo a lungo per essere rimarginata, i rapporti tra le due popolazioni non possono ancora essere normalizzati. E un drone che sorvola il campo con un vessillo inneggiante alla Grande Albania (comprendente il Kosovo, per l’appunto) scatena la scintilla pericolosa, successiva agli insulti degli ultrà serbi e alle bandiere della Nato bruciate in curva: in campo si scatena la rissa, dopo che Mitrovic si aggrappa al vessillo, strappandolo al drone. Non ci sono problemi tra tifosi soltanto perché la trasferta è stata vietata agli albanesi, ma quanto accade sul terreno di gioco obbliga l’arbitro Martin Atkinson a sospendere il match e quindi a chiuderlo definitivamente ancora prima di arrivare all’intervallo. Anche perché alcuni ultrà serbi si fiondano sul campo per menare le mani.



Una maledizione per la Serbia, che già era stata protagonista a Genova di una partita sospesa contro l’Italia in una gara valida anch’essa per le qualificazioni europee. Il 12 ottobre 2010 a Marassi si gioca per sei minuti, poi gli ultrà serbi capitanati da Ivan Il terribile Bogdanov scatenano la violenza. La successiva sconfitta a tavolino mina le possibilità serbe di qualificarsi per la finale. Ora l’Uefa dovrà stabilire colpe e responsabilità di quanto accaduto a Belgrado: sarebbe una beffa per la Serbia dover pagare di nuovo per colpa dei suoi (presunti) sostenitori; lo sarebbe per l’Albania se arrivasse una frenata nella corsa verso la qualificazione per motivi non sportivi. Resta la sostanza, quella di divisioni e inimicizie che soltanto una rivoluzione – innanzitutto umana – potrà risolvere. Il calcio non sarà mai in grado di farlo, con buona pace di Joseph Blatter. E con una buona conoscenza della storia.

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