Il pattinaggio di figura femminile a Sochi ha essenzialmente tre volti. Ha il volto angelico e finalmente sereno e festante di Carolina Kostner, che alla terza Olimpiade conquista una meritatissima medaglia di bronzo; meritatissima per la carriera, e per quanto mostrato in questi due giorni. Ha il volto da bambina felice e sorpresa di Adelina Sotnikova, due argenti europei nelle ultime due stagioni, inaspettatamente oro sul ghiaccio di casa. E poi ha il volto scuro, fosco, ghignante della feroce polemica. Non la prima volta, e non sarà l’ultima; qualunque gara preveda dei punteggi stabiliti “a tavolino” da giudici sarà oggetto di contestazioni. Questa volta però c’è la sensazione, fortissima e rabbiosa, che si sia passato anche il più decente limite del “favorino” all’atleta ospitante, che può far parte del gioco e si accetta, più o meno sottobanco e con buona pace di tutti. Possiamo dirlo? Lo diciamo: il podio di oggi è una truffa. Sgombriamo il campo da qualunque possibile dubbio, e mettiamo immediatamente in chiaro che la Sotnikova non c’entra nulla. E perchè dovrebbe, poverina, visto che la sua unica colpa è quella di aver pattinato divinamente e di aver portato il suo punteggio su livelli da prime tre al mondo. Adelina meritava una medaglia questa sera: tra ieri e oggi ha eseguito due splendidi esercizi, con enorme grazia e pulizia, con coefficienti di difficoltà elevati e con la classe delle più forti. Ci sta pure che stia davanti a Carolina, e spazziamo via anche questo tarlo: non è questione di pattriotismo, la Kostner sta bene con il bronzo al collo perchè, pur superlativa – in quella che può essere l’ultima gara della carriera – non ha raggiunto il livello delle prime due. No, Carolina non entra in questa storia se non di striscio: la grande danneggiata, colei che deve piangere e arrabbiarsi e picchiare le lame dei pattini a terra, è Yuna Kim. La campionessa olimpica non lo è più: i titoli non si assegnano per curriculum, ma nemmeno – a maggior ragione – per nazionalità e fattore campo. Chiunque abbia assistito alla gara di questa sera e abbia una minima nozione di pattinaggio, di come si assegnano i punteggi e delle modalità del concorso, ha visto una sola cosa: un abisso tra la pur brava Sotnikova e la monumentale coreana. E invece l’abisso (sotto forma di 5.76 punti di differenza) lo ha scavato la russa. Yuna Kim, non sappiamo umanamente in che modo, preso nota del punteggio ha sorriso accettando la medaglia; non così i suoi allenatori, che sono rimasti con il volto pietrificato mentre lei, la Sotnikova, volava nei tunnel dell’Iceberg Skating Palace in lacrime e abbracciava chiunque incontrasse, mentre il pubblico giubilava. Già, il pubblico: gli stessi spettatori che circa 24 ore prime erano ammutoliti nel vedere la loro grande beniamina Yulia Lipnitskaya, una delle certezze di Madre Russia, volare e cadere sul ghiaccio nel tentativo di eseguire un triplo flip. Addio medaglia, come certificato oggi dal quinto posto. Lei si rifarà: ha 15 anni, e almeno tre edizioni dei Giochi davanti. Ma il pubblico di Sochi, che già pregustava il momento? Ecco:
Tempo dieci minuti da quella delusione enorme, e i giudici sparavano un al programma corto di Adelina, infilandola tra Kim e Carolina. Stasera, il capolavoro è stato completato. Con sbigottimento e furore da parte di chiunque non fosse russo: mentre loro festeggiavano un inatteso oro, il resto del mondo lanciava messaggi infuocati sul sito ufficiale delle Olimpiadi invernali. “E’ uno scandalo” uno dei più sobri del lotto. Insomma, signori: stavolta l’hanno fatta grossa, e se pensavamo di aver visto tutto con il furto ai danni di Roberto Cammarelle (Londra) o quelli perpetrati ai danni delle nostre ginnaste (soprattutto a Pechino), oggi ci dobbiamo ricredere e dire che no, così non l’avevamo visto mai. Qualcuno ha già detto che “pazienza per la Kim: tra quattro anni rivincerà l’oro”. Eh già: nel 2018 saremo in Corea, e se il sistema e le influenze sulla giuria sono questi la vincitrice ce l’abbiamo già sul serio. Ultimo dato: al pattinaggio russo l’oro mancava solo in questa specialità. L’ha vinto a Sochi. Serve altro? Sì: meno male – si fa per dire – che Mao Asada si è autoeliminata. Fosse andata diversamente, l’Italia avrebbe vinto la sesta medaglia di legno.
(Claudio Franceschini)