È una ragazza di 18 anni di Newton, Massachusetts. Pattina per gli Stati Uniti d’America e ha già portato a casa un bronzo alle Olimpiadi (nella competizione a squadre). In patria è già una celebrità: ospitate al Tonight Show e a Good Morning America, decine di migliaia di fans su Facebook, centinaia di migliaia di follower su Instagram. Gracie Gold è arrivata a Sochi, i suoi primi Giochi invernali, sperando di vincere una medaglia; ma aveva un altro sogno nel cassetto, che ha realizzato. Una foto con Yuna Kim, il suo grande idolo. Si sono scontrate nel concorso individuale: una seconda, la coreana, l’altra quarta, l’americana. A chi le chiedeva di come fossero andate le Olimpiadi, lei ha raccontato che ai Mondiali dello scorso anno ci aveva già provato, ma all’ultimo si era tirata indietro. Dal fare che? le hanno chiesto. Dal chiedere una foto a Yuna: mi vergognavo, ha risposto. Ha fatto appena in tempo: dopo l’argento di Sochi, la coreana ha detto basta. Non competerà più, e non solo lei: la nostra Carolina Kostner in Giappone ci andrà, chiuderà la stagione e lascerà, mentre Mao Asada, la più grande rivale della Kim, non ha dato risposte certe ma lo scorso aprile aveva più o meno fatto capire che dopo Sochi avrebbe smesso. A fare sensazione, in questi giorni, sono state le parole di Yuna Kim circa la sua decisione. Se Carolina ha fatto sapere che “mi spaventa come sarà la mia vita dopo, mi mancherà tutto”, Yuna ha dato l’annuncio come se stesse parlando dell’addio alle armi. “Finalmente è finita”, ha detto appena dopo un argento che doveva essere un oro. “Mi è costato tantissimo arrivare fino a Sochi senza quel fuoco dentro che mi aveva spinta a Vancouver. Allora avrei fatto di tutto per un oro – che ha vinto, con tanto di record del mondo – oggi no. Gli allenamenti, i sacrifici: è dura per tutti, io posso solo dire che sono felice sia finita”. Perchè? si sono chiesti in tanti, mentre in Corea del Sud piangevano manco alla veglia funebre di un artista di fama mondiale. Eppure sta tutto lì, nelle sue parole. D’accordo: a 23 anni per questo mestiere puoi già essere considerato “vecchio”, perchè si inizia da bambini e, una volta che il fisico si sviluppa, certi volteggi possono non venire così naturali. Ma il punto è un altro, e lo sa bene anche Carolina, che il ritiro lo aveva già meditato e che dopo la grande delusione di Vancouver pensava di essere arrivata al capolinea: il pattinaggio logora. E in fondo in fondo, se ci pensiamo, le Olimpiadi sono tutte racchiuse qui dentro. Tre minuti, quattro minuti di esibizione: metti male la punta del pattino, non carichi abbastanza il salto, ed è finita. Perchè uno sport come il pattinaggio non ti concede il lusso di uscire mentalmente dall’esibizione per rientrarci quando conta:
Non esistono momenti morti, non c’è il compagno che ti sostiene. Potete capire le pressioni che un atleta deve sopportare, potete capire perchè due superstar come Kim e Asada non se la sentano più. Potete capire, soprattutto, quanto possa costare allenarsi per quattro anni senza avere le motivazioni per farlo. Spinti da un’intera nazione, spinti dagli sponsor, spinti dalla paura di scoprire cosa sarà dopo. Finchè un giorno arrivi a un certo punto, e non ce la fai più. Per Yuna, e per Mao che dopo la sua esibizione è scoppiata a piangere, quel giorno è arrivato. Andare avanti avrebbe significato dedicare altri quattro anni della propria vita a una gara da dieci minuti. Nemmeno la possibilità dell’ennesima gloria e il pungolo delle Olimpiadi in Asia (e per la Kim a casa sua) sono serviti. Nemmeno l’affetto e l’amore viscerale dei fan. Chi ha fatto sport lo sa: le motivazioni contano, e tanto. E allora eccola, la lezione delle Olimpiadi. O una delle tante, che riguarda tutti gli sport. Avrà anche avuto ragione il vescovo Ethelbert Talbot, poi ripreso dal barone de Coubertin; bello e importante partecipare, ma senza il desiderio di portarsi a casa l’oro – o una medaglia – ci sarebbe meno gusto. E forse, nemmeno troppo in profondità, non ne varrebbe la pena.
(Claudio Franceschini)