“Un mio ritorno sui campi non ha alcun senso”. Frank Rijkaard lascia il calcio: una notizia scioccante, arrivata all’improvviso. “Sono grato per tutto quello che ho ricevuto da questo sport, ma preferirei fare altro da adesso in poi: guardare le partite da spettatore, o farmi una chiacchierata”. Ha 51 anni: davvero si ritira? Sì, davvero: dopo l’esperienza con l’Arabia Saudita, che non è riuscito a portare ai Mondiali del 2014, ha detto stop. Ci pensava il Milan, lo volevano in Europa, niente da fare. E’ un vero peccato: da giocatore, ma quelli erano altri tempi, abbiamo conosciuto Rijkaard come perno di centrocampo di quel Milan che vinse due Coppe dei Campioni consecutive e dominò in lungo e in largo la scena italiana ed europa. Come allenatore, dobbiamo riconoscere, la sua fama non è stata altrettanto scintillante; eppure tra un fallimento con lo Sparta Rotterdam (prima retrocessione nella storia del club) e un terzo posto con il Galatasaray (rescissione del contratto a fine stagione) l’olandese ha avuto due esperienze favolose, che aiuteranno a ricordarlo tutto sommato come un vincente. La prima con la nazionale del suo Paese, che guidò agli Europei casalinghi del 2000: si licenziò parlando di obiettivo fallito, ma la verità è che solo un’Italia eroica nel chiudere ogni varco (e, diciamolo, alquanto fortunata) gli tolse la possibilità di raggiungere una finale meritatissima. Era un con Overmars e Zenden a volare sulle ali, con Kluivert terminale offensivo: spettacolo puro, attacco e ancora attacco, sei gol alla Jugoslavia e una delle squadre più divertenti di sempre. Il capolavoro però lo ha fatto a Barcellona, voluto dal neo presidente Joan Laporta per rimettere in piedi una squadra che non vinceva più. Rijkaard iniziò malissimo: zona retrocessione appena sfiorata nel girone d’andata. Poi, semplicemente, svoltò. Con l’aiuto di Ronaldinho, anche lui alla prima stagione in blaugrana, vinse 17 partite delle 19 del ritorno, chiudendo secondo a 5 punti dal Valencia campione. Nei quattro anni successivi portò a casa due campionati, una Champions League e due Supercoppe di Spagna; tanti, quasi tutti, dicono che il Barcellona degli alieni ingiocabili sia nato con Pep Guardiola, ma la realtà è che il principale artefice fu Rijkaard. Fu lui a preparare il terreno all’ex regista del Dream Team di Johan Crujff. Qualche esempio? Il ritorno al 4-3-3 come sistema di base, con tagli continui senza palla e calcio totale all’olandese; un sistema che funzionava già, ma che si era perso per strada. Fu lui a volere Samuel Eto’o al centro dell’attacco, fu lui a capire che Ludovic Giuly poteva essere un giocatore importante. Fu lui a dare spazio a don Andrès Iniesta, all’epoca un ragazzino di cui si parlava molto bene ma che non aveva minuti importanti. E poi, la più grande intuizione di tutte: 



Far esordire un ragazzino di 17 anni di nome Lionel Messi, che piazzò largo sulla destra dandogli le chiavi della corsia. Guardiola capì che doveva metterlo al centro dell’attacco, ma il suo predecessore lo investì della leadership del reparto offensivo, di fatto allontanando Ronaldinho con una serie di esclusioni dalla formazione titolare che infine portarono a un addio che Pep ratificò, ma che era stato già deciso. I risultati? Già detti, ma aggiungiamo che la Champions League al Camp Nou non la vedevano da 14 anni, e che Frank Rijkaard divenne il primo allenatore nella storia del Barcellona a vincere per due volte al Santiago Bernabeu, tempio dell’odiato Real Madrid. Basterebbe questo per farlo diventare un immortale nel mondo blaugrana, che infatti ancora lo ama. E allora, chissà: se c’è una squadra che potrebbe fargli ripensare a questa idea del ritiro è proprio quella che gioca in Catalogna, al Camp Nou. Gerardo Martino lascerà a fine stagione, qualche malumore si è già levato, c’è un nuovo ciclo da rifondare. Come nel 2003: perchè non accettare la sfida? Non dovesse farlo, lo ricorderemo lo stesso come un vincente. 



(Claudio Franceschini)

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