Nel giorno di quello che sarebbe stato il compleanno di Ayrton Senna, il Brasile saluta un’altra delle sue glorie nazionali, un altro pezzetto della sua variegata storia sportiva. In un ospedale di San Paolo, dove era stato portato in seguito ad un attacco cardiaco ma dove era da tempo in cura a causa del morbo di Alzheimer che lo tormentava da una decina di anni, è morto Hilderaldo Luiz Bellini, capitano della Nazionale brasiliana che, per la prima volta nella storia del paese verdeoro, vinse il Campionato del Mondo 1958 in Svezia, riscattando finalmente El Maracanazo, il “disastro del Maracana”, l’inopinata sconfitta casalinga nella finale con l’Uruguay che aveva gettato il paese intero nello sconforto otto anni prima. Una nazionale leggendaria ed una edizione della Coppa Rimet, quella vissuta ormai quasi sessant’anni fa nella nazione scandinava, fra le più spettacolari che si ricordino. Quel Brasile era una squadra straordinaria, destinata a cambiare il corso della storia del calcio e che custodiva gelosamente nel proprio scrigno un piccolo tesoro, una perla nera, un ragazzino di 17 anni che si chiamava Edson Arantes do Nascimento e che in campo tutti chiamavano Pelé. Di quella storica squadra, Bellini era diventato capitano per acclamazione: lui, quello con il piede più ruvido fra difensori di classe immensa come la coppia Djalma e Nilton Santos, come i mitici interni Zito e Zagalo, a sua volta futuro cittì della selecciòn. Ma anche l’uomo di maggiore affidamento, quello più freddo e saggio. Bellini era nato ad Itapira il 7 giugno del 1930 e, dopo aver giocato nella squadra della sua città, fu portato al Vasco da Gama, compagine alla quale legò tutta la sua ventennale carriera e con la quale ebbe i suoi maggiori successi. Era un centrale difensivo come non ce n’erano allora molti in Sudamerica, roccioso ma elegante, anche se dal tocco non esattamente brasiliano. Fu Vincente Feola, commissario tecnico di quella spedizione svedese, a portarlo in nazionale nel 1957. Feola, nelle prime due partite del torneo, tenne fuori il giovanissimo Pelé e un funambolico e semisconosciuto esterno d’attacco che si chiamava Garrincha, preferendo loro José Altafini, allora soprannominato in Brasile “Mazzola” per la sua somiglianza con il capitano del Grande Torino e che segnò due gol nel 3-0 d’esordio contro l’Austria, ed il milanista Dino Sani. Fu dopo lo 0-0 contro l’Inghilterra nel girone eliminatorio e dietro la pressione dei “saggi” dello spogliatoio, Zito e Bellini in testa…
… che Feola decise di gettare nella mischia le sue giovani armi segrete. Nacque così una squadra talmente popolare che in Brasile – ma anche fuori – i nomi dei suoi componenti sono snocciolati come una filastrocca che si insegna ai bambini a scuola: Gilmar, Bellini, Djalma Santos, Nilton Santos, Orlando, Zito, Garrincha, Didi, Vava, Pelé, Zagalo. Una sinfonia, più che una formazione. Il resto è storia. La foto di Bellini che solleva la Coppa Rimet – e fu il primo a fare questo storico gesto entrato poi nell’immaginario collettivo di tutte le edizioni seguenti del Mondiale – divenne talmente nota e gli regalò una popolarità tale che egli divenne il primo calciatore brasiliano a sfruttare la sua immagine a fini pubblicitari. Altrettanto storiche sono le immagini che ritraggono il diciassettenne Pelé, sopraffatto dalla commozione, piangere a dirotto dopo aver segnato due gol – di cui uno leggendario – nella finale con la Svezia, una squadra a sua volta strepitosa che poteva contare su campioni come Nils Liedholm, Gunnar Gren, Kurt Hamrin e “Naka” Skoglund, grandissimi protagonisti anche in Italia. Pelé pianse fra le braccia di Bellini, naturalmente. Il suo capitano.