E adesso, cosa succederà? Il Barcellona ha mancato la qualificazione alle semifinali di Champions League per la prima volta dopo sei anni. Parlare di fallimento è ben difficile: l’Atletico Madrid si è dimostrato una grande squadra e per la quinta volta stagionale i blaugrana non sono riusciti a batterlo, e in più restano una finale di Copa del Rey da giocare e una Liga nella quale la squadra è seconda a un punto dai Colchoneros. Eppure, quando non si vince, qualche domanda bisogna sempre farsela; e al Camp Nou di certo non faranno eccezioni. L’estate del 2014 rischia di essere ben più devastante di quella di due anni or sono: Pep Guardiola, 14 titoli in quattro stagioni e artefice della più straordinaria macchina di gioco dell’ultimo decennio (e forse anche oltre), lasciava per prendersi un anno sabbatico. Ma allora le chiavi erano state affidate a Tito Vilanova, diretta emanazione del suo “capo”; e i giocatori chiave erano tutti lì, al loro posto e pronti a ripartire nel nome del loro condottiero. Certo non avrebbero più vinto la Champions League, ma avrebbero comunque trionfato in una Liga quasi senza storia. Oggi il clima è molto più caldo: c’è un addio già annunciato di due dei leggende (Xavi e Puyol) c’è un portiere infortunato fino a novembre e che se non lo fosse partirebbe lui pure, c’è un allenatore che a spizzichi e bocconi ha fatto capire che da giugno in avanti sarà probabilmente altrove. E poi c’è quella “simpatica” questione del blocco alle operazioni di calciomercato, con un ricorso presentato e che potrebbe essere respinto. Non vorremmo essere dalle parti della Catalogna quest’estate: una delle più straordinarie formazioni che si siano viste su un campo di calcio deve ricostruire, e i tonfi (ricordate il Milan di fine ciclo, a metà anni Novanta?) possono essere fragorosi. Che fare? Le certezze sono poche, a cominciare da chi davvero sia il responsabile di questa precoce eliminazione. Potremmo riassumerla così: tutti e nessuno. Semplicistica? Forse. Ma è indubbio che il Barcellona si sia scontrato contro una grande come l’Atletico Madrid, e a volte succede che nel calcio si perda senza colpe apparenti. Gerardo Martino, spesso e volentieri criticato dai puristi del tiki taka e del dogma “entriamo in campo con il pallone”, andrebbe invero ringraziato: ha capito che il sistema era logoro perchè conosciuto a tutti e con interpreti che hanno superato il loro zenith prestazionale. Ha introdotto cambi di gioco, verticalizzazioni rapide e riportato Messi defilato e arretrato, dove può fare più male. La ciambella gli è riuscita con un buco non troppo perfetto; la squadra resta una delle più forti in Europa (per Guardiola la più forte), ma quando trova organizzazioni da dieci e lode non segna mai. E allora, era colpa di Pep? No di certo: lui con il tiki taka ha vinto tutto e a più riprese, ma aveva anche giocatori al top della condizione, entusiasti e fieri perchè usciti tutti dal vivaio e alla prima esperienza in prima squadra (Sergio Busquets, Pedro, Bojan). Martino ha preso in consegna una realtà già in declino: non basta avere Messi e Neymar se dietro appena manca Piqué vai in crisi e davanti lo spazio che funge da centravanti non viene attaccato. Di più: 



Tutti quelli che parlano di sfruttare i settori giovanili e far giocare i ventenni dovrebbe forse ricordare che ci sono giovani e giovani. Non sempre ti capita la generazione di Puyol-Xavi-Iniesta; a volte ti può venire fuori quella di Bartra-Montoya-Tello, bravi ma non in grado di fare la differenza da soli. Se poi vendi il più forte (Thiago Alcantara) le possibilità diminuiscono. Soprattutto: dura arrivare dall’Argentina e vincere tutto se le motivazioni non ci sono e si è legati a sistemi che non rendono più come prima. Ecco perchè l’estate a Barcellona è un grosso punto di domanda: se il veto alle entrate sarà bloccato, i blaugrana dovranno affidarsi esclusivamente al vivaio. Rafinha e Gerard Deulofeu, di ritorno dal prestito, promettono tantissimo: sapranno però inserirsi in un ambiente che ha perso le sue certezze, senza senatori a insegnare loro cosa significa giocare al Camp Nou? Saprà Sergi Roberto raccogliere l’eredità di Xavi senza sentire la pressione? E soprattutto: chi ci sarà a guidare questi ragazzi? Tutto porta a pensare che la scelta possa essere ancora una volta interna; ma anche qui, non tutti gli ex calciatori sono Pep Guardiola. E se Luis Enrique qualche capacità l’ha già dimostrata, resta da stabilire se voglia sedersi su una panchina simile, lui che lasciò la Roma per l’eccessivo stress. Insomma: tanti punti di domanda, ma ci si penserà dal 18 maggio: prima c’è una Liga da vincere, con la tappa obbligata della Copa del Rey nell’ennesimo Clasico.



(Claudio Franceschini)

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