David Moyes fired, esonerato dal Manchester United che non cacciava un allenatore dal 1986. Nonostante tutto, settimo posto in campionato, 15 sconfitte stagionali ed eliminazione dalle coppe (e in Inghilterra ce ne sono tante), è strano. Soprattutto per la Premier League che da sempre guardiamo come modello di progettualità e pazienza. La storia dei Red Devils insegna che il manager scozzese meritava almeno un’altra chance, la stessa che Ferguson meritò non una ma tre volte (sei per uno scudetto) prima di portare in bacheca un trofeo. Era il 1990, quarta stagione di Sir Alex in panchina: nelle tre precedenti undicesimo (non settimo), secondo ed undicesimo posto, fino alla FA Cup che secondo alcuni salvò la panchina del manager ed un altro campionato fallimentare, concluso in tredicesima posizione. C’è sicuramente anche dell’altro, quello che non si vede: il carisma, il dialogo con dirigenza e giocatori, elementi di cui forse il Ferguson del ’90 disponeva e che oggi sembrano mancare a Moyes. C’è in particolare il giudizio dei tifosi che in ogni modo hanno espresso dissenso verso il nuovo allenatore, addirittura affittando un aereo per esibire in cielo lo striscione Wrong one, Moyes out (‘Quello sbagliato, Moyes via’, il 29 marzo durante il 4-1 all’Aston Villa). Robe da matti: meglio buttare un motorino giù dalla Curva Nord (Inter-Atalanta 3-0, 6 maggio 2001), di sicuro costa meno. Del resto è stato così per Gesù Cristo oltre duemila anni fa e succede spesso anche oggi: è molto difficile decidere contro il popolo bue e in questo senso la situazione per Moyes era ormai insostenibile. L’esonero però continua a suonare ingiusto o perlomeno affrettato, che secondo un vecchio detto popolare (strano, il popolo) significa figlio di cattivo consigliere. Perché anche Sir Alex, che ieri era un eroe ed oggi rischia di diventare un fantasma, ha steccato tre volte prima di azzeccare un acuto. Perché il Manchester United 2013-2014 è capitato in una selva oscura in cui gli alberi più grossi si mangiano tutto il sole disponibile. Da tempo la Premier League non era così affollata nei suoi salotti più alti: mentre i Red Devils salutavano Fergie il Chelsea ha richiamato Mourinho, il City speso 111 milioni di euro, l’Arsenal è rimasto sè stesso (competitivo fino a un certo punto, quello decisivo) e si è risvegliato persino il Liverpool, una macchina di gioco e gol (96 -novantasei!- a quattro giornate dalle fine) che nemmeno negli anni in bianco e nero. Aggiungeteci la solita outsider (Everton, che ancora cammina nell’educazione di Moyes) e una grande delusa (Tottenham) e forse…
Il settimo posto dello United vi sembrerà meno strano. Un circuito vietato ai minori cui oltretutto il Manchester si è affacciato senza rinnovare la patente, perché la rosa attuale non è da primi posti. Non si vogliono negare gli errori di Moyes che sicuramente ci ha messo del suo, come i famosi 32 milioni per Marouane Fellaini; ma esprimere un minimo di stupore per una decisione molto poco british. Soprattutto nell’anno in cui il Liverpool sta mostrando dove si può arrivare con la pazienza e la progettualità di cui sopra. I Reds hanno creduto in Brendan Rodgers, scelto nel 2012 e promosso nonostante tutto: un settimo posto alla prima stagione. E non vincono il campionato dal 1990, anno del primo trofeo Ferguson: casualità?
(Carlo Necchi)