La morte di Vujadin Boskov sta facendo riaffiorare tanti aneddoti sul modo di intendere il calcio da parte di questo grandissimo allenatore, capace di ottenere grandi risultati pur con la semplicità figlia di una grande personalità ma anche di un calcio che era certamente molto diverso da quello di oggi. Ad esempio, ecco come Moreno Mannini, difensore della grande Sampdoria degli anni del tecnico serbo, aveva rievocato qualche tempo fa gli schemi di Boskov: “La sua tattica era molto simpatica. La domenica mattina ci riuniva nella sala, si metteva davanti alla lavagna e poi diceva: tu Pietro (Vierchowod, ndR) e tu Moreno non fate toccare palla agli attaccanti. Poi date palla a Toninho (Cerezo, ndR). Poi Toninho buttala avanti, tanto Vialli e Mancini fanno gol. Questo era il suo discorso iniziale prima della partita”.



Un nuovo lutto scuote il mondo del calcio. E’ morto all’età di 82 anni Vujadin Boskov, indimenticabile allenatore della Sampdoria (ma anche di Ascoli, Roma, Napoli e Perugia), la squadra con cui vinse un incredibile scudetto nel 1991 e con cui andò vicinissimo alla Coppa dei Campioni nel corso della stagione successiva andata in fumo nella finale contro il Barcellona. “Ciao, grande Vuja. La Samp piange un mito”, si legge oggi sul sito ufficiale del club doriano. Di seguito riportiamo la celebre intervista che Boskov rilasciò dopo la vittoria dello scudetto, durante la quale disse che “la Sampdoria gioca a calcio come una mamma ama i suoi figli”.



Aveva 82 anni Vujadin Boskov: ne avrebbe compiuti 83 il prossimo 16 maggio. E’ morto oggi, dopo una lunga malattia. Un fenomeno, non si può dire altrimenti: nella sua carriera ha vinto tanto come allenatore, legando i suoi successi a tre Paesi e spopolando soprattutto da noi, dove con il suo italiano stentato e le sue frasi celebri ha conquistato la simpatia di tutti. Soprattutto era un grande allenatore: un insegnante di calcio, tanto da averlo fatto davvero, alla scuola per tecnici e allenatori all’epoca diretta da Italo Allodi. Da calciatore è stato un centrocampista: dieci anni con la Vojvodina, squadra storica della sua amata Jugoslavia allora unita, con cui non ha mai vinto niente ma che gli ha permesso di partecipare alle Olimpiadi di Helsinki e portare a casa un argento a cinque cerchi. Con la Nazionale, una squadra che ai tempi era una delle più forti in Europa, 57 presenze e nessun gol; nel 1961 quando già era fuori dal giro internazionale la Sampdoria lo chiamava a giocare nella sua linea mediana. Lo avrebbe fatto prima, ma la federazione jugoslava imponeva come limite ai trasferimenti all’estero i 30 anni. E così Boskov arrivava a Genova, ma poteva restarci un solo anno, difficile e con sole 13 presenze (e un gol) a causa di continui infortuni. La carriera da giocatore la chiudeva nello Young Boys, in Svizzera, due stagioni nelle quali faceva il doppio ruolo di allenatore/giocatore. Terminata quell’esperienza tornava in patria; e dove poteva allenare se non nella sua Vojvodina? La guidava per sette anni, poi la federazione ne richiedeve i servigi per guidare la nazionale. A 40 anni, un grande onore. Non riusciva tuttavia a qualificarsi per la fase finale dell’Europeo del 1972: già in declino, i balcanici vincevano il loro girone davanti a Olanda e Germania Est (tre vittorie in tre partite), ma poi venivano sconfitti dall’URSS con un netto 0-3 nel ritorno dell’eliminatoria. Nel 1974 si trasferiva in Olanda, chiamato dal Den Haag; e qui, dopo tredici anni da allenatore, vinceva il primo titolo, la coppa nazionale. Il Feyenoord lo ingaggiava, e poi il Real Madrid: vinceva la Liga al primo anno, quando faceva la doppietta con la Coppa del Re avendo in squadra Santillana, Stielike, Camacho e, curiosità, Vicentte Del Bosque; poi si ripeteva in coppa. Ma nel 1982 la leggenda Alfredo Di Stefano reclamava la panchina; lui non faceva una piega e andava allo Sporting Gijon. E di qui, finalmente in Italia: ci restava per 14 anni. Prima l’Ascoli, riportato immediatamente in Serie A; poi la Sampdoria del presidente Mantovani, e la leggenda iniziava. Sei stagioni, con la vittoria di due Coppe Italia consecutive e poi dello storico scudetto del 1991, riuscendo a far rendere al meglio una squadra che aveva in rosa Vialli e Mancini, Lombardo e Cerezo, Pagliuca e Katanec. Molto meno remunerative le altre esperienze con Napoli e Perugia, inframmezzate dal viaggio a Servette; ma nella Roma 1992-1993, decima in campionato, il 28 marzo ebbe la “curiosa” idea di lanciare in campo un giovanotto di 16 anni a nome Francesco Totti. Nel 1997-1998 la Sampdoria lo richiamò per sostituire Luis Cesar Menotti: arrivò nono con una squadra lontana parente da quella di sette anni prima. L’ultima esperienza in panchina ancora con la Jugoslavia, tra il 1999 e il 2001; agli Europei del 2000 arrivava secondo nel suo girone con una squadra spettacolare che segnava tanto e subiva altrettanto, ai quarti veniva infilzato 6-1 dai padroni di casa dell’Olanda. La sua ultima grande partita.



Vujadin Boskov è morto. All’età di 83 anni l’amatissimo allenatore serbo è spirato dopo una lunga malattia e secondo quanto si apprende la camera ardente sarà allestita martedì 29 aprile 2014 proprio nel centro sportivo della sua Vojvodina, la prima squadra di club da giocatore (giocò poi negli anni sessanta nella Sampdoria e concluse la sua carriera di centrocampista allo Young Boys). Un carisma e una simpatia uniche, unite alla grande grinta e a una visione di gioco pratica, efficiente e anche spettacolare hanno permesso a Boskov di conquistare il cuore di milioni di tifosi in tutta europa.