Serena Williams ha vinto per la terza volta in carriera, la seconda consecutiva, gli Internazionali d’Italia. Al Foro Italico l’americana si è aggiudicata la finale battendo la nostra Sara Errani con il punteggio di 6-3 6-0, approfittando anche di un guaio alla coscia accusato dalla bolognese; abbiamo dato i voti ad alcune delle protagoniste del torneo italiano, che proietta idealmente il circuito WTA verso il Roland Garros. 



Diciamo la verità: che Serena potesse non essere Serena ci abbiamo sperato. Patriotticamente, l’ipotesi di una finale contro la Ivanovic ci stimolava; certo sarebbe stata da vincere, ma sulla carta – e psicologicamente – sarebbe stata meglio. E invece no, e così la Williams vince ancora: titolo numero 60 in carriera, il terzo di un 2014 iniziato in salita e senza l’abituale dominio. Ritirata a Madrid, la coscia le ha dato fastidio anche a Roma; tanto che ha dovuto giocare un terzo set in semifinale, e che nel primo della finale non è parsa lei. Fallosa oltremodo, si è fatta recuperare un break; lì ha dimostrato perchè domina la classifica da ormai un anno e perchè da almeno due non ha rivali nel circuito. Reazione immediata, e saluti. Il torneo è stato ordinaria amminstrazione: primi tre turni semplici anche come avversarie, poi lo spavento scampato contro la Ivanovic, quindi una finale giocata “a metà” ma sempre con l’aura di intoccabile.



Di più non poteva. Finisce in lacrime per non aver potuto giocare al 100% contro la Williams; lei per prima sa che sarebbe cambiato poco, ma essere stata limitata nel secondo set è stato crudele e ingiusto per come si era costruita l’accesso alla finale. Un’azzurra all’ultimo atto del Foro Italico dal 1950: Sarita si è ritrovata nel momento più topico, superando le difficoltà degli ultimi mesi e centrando la prima vittoria contro una Top 3 in carriera, battendo Na Li che era una delle giocatrici più in forma del circuito, prima di recuperare la semifinale contro la Jankovic da 1-4 nel secondo set. Ha infiammato una folla in estasi confermando che sulla terra è una delle più forti al mondo e che quando gioca come sa non teme nessuna avversaria. Salvo, appunto, Serena Williams e Sharapova-Azarenka al loro top. Bene così: per il Roland Garros è una bella iniezione di fiducia, e mentalmente chi se la troverà di fronte avrà qualche timore in più. Peccato la finale del doppio: ci ha provato, ma sullo 0-4 ha alzato bandiera bianca. 



Di quelle che sono arrivate in fondo ha certamente avuto la strada più difficile. Knapp e Cornet (specialmente sulla terra) nei primi due turni, poi Maria Sharapova. Il torneo della serba ha svoltato agli ottavi: contro Masha non vinceva dal 2007, ma ha superato la sua nemesi personale triturando l’avversaria in due set brevissimi. Contro Carla Suarez Navarro ha tenuto di nervi e piazzato il break decisivo sul 4-4 del terzo set, come le giocatrici più navigate; la Williams l’ha al fondo asfaltata, ma prima Ana l’ha costretta a giocare il terzo set. Due indizi fanno una prova: due titoli nel 2014, quarti agli Australian Open, finale a Stoccarda, quarti a Madrid, semifinale a Roma. Sarà cliente difficile al Roland Garros e continua la scalata alla Top Ten, lei che è stata una numero 1; quando le funziona il dritto è semi-imbattibile. 

Negli sport li chiamano “chokers”: sono quegli atleti che si spengono sul più bello, che non sono in grado di chiudere, di portare a casa la vittoria. La serba per tutta la carriera è stata così; forse avrebbe qualche titolo in più se non fosse per questa tendenza negativa. Che le è capitata contro la Errani: Sarita ci ha messo molto del suo e va bene, ma la serba conduceva 4-1 nel secondo set e pregustava già il terzo quando la luce si è spenta e la bolognese ha rimontato fino a vincere. Un vero peccato: fin lì il torneo della Jankovic, già vincitrice due volte a Roma, era stato semi-perfetto: la Pennetta non ha mai visto la pallina, la Radwanska è stata spazzata via dal campo. Resta questo senso di missione non compiuta, e di altro rimpianto; però in semifinale in un Premier bisogna arrivarci, e lei ci è arrivata. 

 Sorpresa assoluta del torneo. Ormai ha 25 anni e non può rientrare nella categoria delle nuove leve, ma attenzione: in un anno ha scalato più di 70 posizioni in classifica, rientrerà nella Top 40 e si pone sulla scia di Na Li portando alta la bandiera del tennis cinese. Capolavoro contro Petra Kvitova, la maturazione l’ha però raggiunta contro Christina McHale che ha costretto a tre set prima di batterla. La Williams era francamente ingiocabile, però il suo costante movimento lungo in campo l’ha in qualche modo infastidita, sia pure per una manciata di minuti. Adesso si deve confermare: due grandi tornei capitano a chiunque, la continuità è merce rara (specialmente in campo femminile). 

 Ci risiamo: arriva passeggiando fino ai quarti, poi crolla appena la posta in palio aumenta di gradi di prestigio. In carriera ha 13 titoli, ma pochi veramente importanti; un po’ è perchè come tipo di gioco (era già successo, con diverse proporzioni, a Martina Hingis) soffre le avversarie che tirano a tutto braccio e sono precise e costanti; un po’ perchè lei stessa tende a scomparire quando la situazione diventa rovente. Fatto sta che la polacca è presenza costante nelle prime otto, ma il suo nome nelle finali dei tornei grossi non compare quasi mai. A Roma ha perso dalla Jankovic mentre aveva umiliato la nostra Schiavone; più che di avversarie, è un problema di testa. 

 Tornata in grande stile vincendo a Stoccarda e Madrid, arrivava a Roma con una striscia di 12 vittorie consecutive; ma ha mostrato di non essere ancora del tutto a posto facendosi battere nettamente da Ana Ivanovic, che come detto aveva sempre sconfitto negli ultimi sette anni e contro cui aveva vinto la finale del Porsche Grand Prix. Sembra di capire che per la russa sia più che altro una questione psicologica; quando è concentrata e al massimo fisicamente è l’unica – insieme alla Azarenka – a poter davvero mettere in crisi la Williams, solo che fisicamente a posto ci è stata pochissimo negli ultimi cinque anni. 

 Della Errani abbiamo detto, di Roberta Vinci (5) c’è poco da dire, delle altre non possiamo che parlare bene. Flavia Pennetta (6,5) ha vinto una partita nient’affatto scontata contro la Bencic ma poi non ne aveva più per superare la Jankovic, per la Schiavone (7,5) stesso discorso perchè dopo la battaglia contro la Muguruza è arrivata con fiato corto a sfidare la Radwanska. Karin Knapp (6) vive un momento particolarmente difficile ma qui è stata sfortunata nel sorteggio (subito la Ivanovic), mentre Camila Giorgi (6,5) ancora una volta ha giocato con le due personalità: dominante contro le più forti (Cibulkova), debole e vulnerabile contro le meno quotate (McHale, con cui aveva già perso a Sydney). Purtroppo i tornei si vincono battendo anche questo tipo di giocatrici; continuiamo a pensare che il problema sia di natura tecnica e di gestione, speriamo che le cose possano cambiare (ma deve innanzitutto deciderlo lei). Male solo Nastassja Burnett (5,5) sfortunata nel sorteggio ma anche lontana dal salto di qualità.

 Escono sconfitte quasi subito, ma facendo un figurone. Belinda Bencic (7,5) fa fuori la Pavyluchenkova e poi porta la Pennetta al terzo set e vicina al punto di rottura; Christina McHale (7) elimina Cirstea e Giorgi e poi gioca un incontro memorabile contro Shuai Zhang perdendolo solo dopo due ore e 41 minuti, lo stesso tempo nel quale Garbine Muguruza (6,5) si fa battere dalla Schiavone dopo averla messa alle corde (e la Leonessa ha un titolo e una finale Slam su terra rossa). Il ricambio generazionale avviene rapido; certo non parliamo ancora di Top Ten, ma ci arriveremo e potrebbe essere presto. Peccato solo che le due maggiori rappresentanti, Eugenie Bouchard (5) e Sloane Stephens (5,5) siano venute a Roma per fare le comparse. 

(Claudio Franceschini)