E’ Novak Djokovic il vincitore degli Internazionali d’Italia 2014. Al Foro Italico il serbo batte in finale Rafa Nadal nel loro quarantunesimo incrocio (bilancio 22-19 per lo spagnolo) e conquista Roma per la terza volta, prendendosi anche il terzo Master 1000 dell’anno (e il diciannovesimo in carriera). Abbiamo dato i voti ad alcuni dei protagonisti del torneo. 



Terzo Master 1000 in un 2014 iniziato per lui alla grandissima. Nadal non lo spaventa più: aveva perso quattro delle ultime cinque finali contro lo spagnolo, prima di piazzare un poker devastante tra Pechino e Roma, passando per il Master e Miami. Lo spagnolo non lo spaventa più, nemmeno dopo aver perso il primo set e sulla terra rossa; anzi, è proprio l’aver trionfato in casa di Rafa e contro Rafa che rende questa vittoria ancora più speciale e premonitrice per il futuro breve (leggi Roland Garros). Ha sofferto contro Ferrer e Raonic, ha perso un set da Kohlschreiber iniziando a giocare dopo venti minuti; si è sempre rialzato, non mancando mai nei momenti che contano. Adesso manca solo lo Slam, quello che non arriva da Melbourne 2013: se gioca con questa intensità è imbattibile. 



Il voto è sostanzialmente per il fatto che dopo Montecarlo e Barcellona non molti gli davano credito. Che non sia al 100% è evidente, che stia pagando un 2013 portentoso è sotto gli occhi di tutti. Il suo gioco è talmente fisico e spinto che appena la condizione cala di un 2-3% ne risente, anche contro Simon o Youzhny che normalmente avrebbe sbriciolato; eppure si è presentato in finale demolendo Dimitrov (per la prima volta, perchè ci aveva sempre sofferto) e soprattutto vincendo il braccio di ferro contro Andy Murray che dopo il primo set e sul 4-2 nel terzo lo aveva messo sotto sul piano del gioco. Nessuno ha la forza di volontà di Rafa; solo che a volte non basta. Per la prima volta da nove anni arriva al Roland Garros senza aver dominato: ha vinto solo a Madrid, ma ai tre set su cinque può essere un’altra storia. A suo favore. 



E chi se lo aspettava? Il gioco del canadese, bordate in servizio e colpi definitivi senza entrare quasi mai nello scambio, poco si addice alla terra, dove infatti aveva sempre manifestato timidezze e imbarazzi. Non qui: il canadese che per più di metà è montenegrino ha giocato manco fosse sul cemento, spazzando via il nostro Bolelli, poi Tsonga e Jeremy Chardy. Il capolavoro contro Djokovic, costretto a un terzo set al cardiopalma nel quale avrebbe anche potuto centrare un clamoroso upset al termine di un incontro pari per oltre due ore e mezza. “Ha giocato meglio di me nei momenti decisivi” ha detto Milos; il cambio di consegne non c’è stato, ma la conferma che è lui il giovane più pronto a ribaltare le gerarchie è arrivata sul rosso di Roma. 

Qualcosa meno, per due motivi. Primo: non certo per colpa sua, ma Tommy Haas si è tolto di mezzo da solo per infortunio, dopo un primo set giocato e non giocato. Secondo: nell’ora di verità si è sciolto. Aveva sempre fatto soffrire Nadal, costringendolo a giocare il terzo set e andando vicino, anche in Australia, alla vittoria. Qui no: quando doveva essere maturato, quando poteva farcela, quando Rafa non era al meglio, è parso aver accusato il match dal punto di vista psicologico, ricadendo nel suo vecchio difetto. Assolto parzialmente, perchè contro il numero 1 ci sta anche prenderle; ma a questo punto della carriera, e dopo questo torneo, ci aspettavamo quantomeno che ci provasse. Rimandato a Parigi: negli Slam deve ancora lasciare un segno. 

Quasi perfetto, e anche per lui vale lo stesso discorso fatto per Raonic. D’accordo che è cresciuto su campi in terra, ma li ha presto abbandonati; il rosso non gli è mai stato amico. Eppure qui è sembrato a tratti una sorta di reincarnazione di Manolo Santana: contro Nadal ha condotto le danze e fatto la partita, ha tramortito il rivale attaccando sempre, prendendosi rischi mentre l’altro sopravviveva, spingendo come un forsennato. Poi ha subito il colpo da kappaò del numero 1: quando era sopra 4-2 e serviva per allungare ha perso il servizio senza fare un punto, ed è finito pur avendo ancora l’opportunità di impattare. Un grande torneo, per le risposte che ha dato dal punto di vista fisico e per i miglioramenti riusciti a fare sulla terra. Un po’ è anche merito di Lendl…

 Ha già 27 anni, è vero; ma chissà che non sia un nuovo Wawrinka, ovvero un giocatore che esplode tardi. Lo scorso anno aveva stupito con i quarti agli Australian Open, poi on si è più ripetuto così ad alti livelli ma qui a Roma ha sorpreso Roger Federer rimontandogli un set, poi si è spinto fino ai quarti dove ha comunque messo pressione a uno stratosferico Raonic. Classe e possibilità sono inferiori a quelle di Stan the Man, ma può rappresentare uno di quei giocatori che è meglio evitare nei tabelloni, perchè non è una testa di serie (numero 40) ma pur non essendo un fuoriclasse può battere (quasi) chiunque se in giornata. 

 Sufficienza d’ufficio e di “comprensione”: solo pochi giorni fa gli è nata la seconda coppia di gemelli, al Foro Italico non ci doveva essere ma poi, evidentemente dopo una riunione di famiglia, ha deciso che magari poteva allenarsi un po’ per Parigi. Gli ha detto male: ha sporcato la buona fedina 2014 (finali a Indian Wells e Montecarlo) perdendo subito da Chardy, che aveva di fatto cancellato dal campo nel primo set. Giustificato: la testa era in Svizzera, e però un campione come lui dovrebbe battere certi giocatori anche nel sonno.

 Dopo gli Australian Open ha inanellato una serie di risultati negativi che ci hanno fatto pensare che la vittoria del primo Slam in carriera gli avesse fatto male. Tornato sul rosso si dev’essere ricordato di quello che aveva fatto lo scorso anno (quarti a Montecarlo, finale a Madrid, quarti al Roland Garros) e ha vinto il primo Master 1000 sbancando il Principato; ma poi è crollato in Spagna perdendo da Thiem, e si è ripetuto al Foro uscendo sconfitto dall’incontro con Tommy Haas. Deve riassestarsi per Parigi, perchè rischia ancora una volta di fare fiasco quando tutti lo aspettano; sulla carta dovrebbe essere l’unico a inserirsi nella lotta tra i big…

 Il discorso è sempre lo stesso: anche se eravamo in casa e sulla superficie favorita non ci aspettavamo granchè. Anzi: Simone Bolelli (6,5) ha passato un turno grazie al derby contro Stefano Travaglia (8,5 per le qualificazioni e un clamoroso upset sfiorato contro il connazionale), Andreas Seppi (5,5) non ha avuto chance contro Haas, Fabio Fognini (5) che era il giocatore in grado di portarsi in zona quarti di finale è uscito fischiato dal suo stesso pubblico per una prova incolore, di quelle da “non so cosa ci faccio qui”, contro Lukas Rosol che vive ancora di rendita per lo scacco londinese a Nadal. Insomma: più che dire che abbiamo fatto flop a Roma, varrebbe la pena sottolineare come il nostro movimento non riesca a produrre talenti in grado di azzannare il ranking, e che il nostro numero 1 è evidentemente ancora troppo emotivo per pensare di inserirsi nella Top Ten o quantomeno rimanerci. La speranza si chiama Marco Cecchinato (6): classe ’92, il palermitano ha perso subito contro Sijsling, ma potrebbe avere buon futuro.

 Menzione d’onore ovviamente per la semifinale Raonic-Djokovic, durata tre ore; questo però è stato l’incontro che ha emozionato di più. Non si incontravano da tre anni, se le sono suonate di santa ragione: lo scozzese ha condotto le danze, Rafa è rientrato ma è stato ad un passo dall’eliminazione quando Murray è salito 4-2 e servizio. Qui è venuto fuori il campione vero: break strappato a zero con tanto di super recupero sullo schiaffo al volo dell’avversario, urlo con pugno al cielo e da lì in poi le redini le ha avute in mano lui. Murray però ha mostrato enormi miglioramenti sul rosso che fanno ben sperare anche in ottica Roland Garros. 

(Claudio Franceschini)