Quando Leo Messi è salito sulle tribune del Maracanà per ricevere il premio di miglior giocatore della Coppa del Mondo 2014 aveva una faccia che non ci credeva nemmeno lui. O forse, aveva la faccia di chi se ne frega perchè tanto il trofeo vero, quello grosso, quello con il mondo in cima, l’avevano preso gli altri. Leo Messi e il Mondiale: una storia destinata a non sbocciare, non adesso e forse mai più. Ci ha provato la Pulce, ma alla fine è stata schiacciata dai panzer tedeschi che, si sa, non hanno pietà per nessuno. Alla fine qualche giocatore della Germania è andato personalmente a consolarlo: come a dirgli sì, il più forte sei tu, e però abbiamo vinto noi. Che peccato, Leo. Le aspettative erano tante: finalmente può diventare come Maradona, anche lui può guidare la Seleccion al titolo, finalmente può farla finita con questa nomea del nuovo Diego che però non vince da solo come faceva Diego. Beh, l’ha fatta finita per davvero, ma nel modo sbagliato. Perdendo una finale che, diciamola tutta, ha giocato malino. Si è acceso tre volte, Messi, nel tempio del Maracanà: la prima ha lasciato sul posto Hummels e ha messo in mezzo un pallone respinto. La seconda ha aperto solo lui sa come con un cambio gioco di venti metri, ma Higuain sul cross seguente è finito in fuorigioco. La terza ha fatto tunnel a Hummels, messo a sedere Boateng e cercato Palacio: intercettato. La quarta volta avrebbe potuto cambiare la storia della partita, ma ha calciato a lato. In mezzo poco o nulla: lunghe pause di riflessione, tentativi di riprendere fiato e, pare, il solito problema di stomaco. C’è da dire che l’andamento della gara l’ha aiutato poco: la palla ce l’aveva quasi sempre la Germania, e quando l’Argentina recuperava andava in porta con tre tocchi, chi c’era c’era. Dunque alla fine di questo Mondiale la tesi pare chiara: Messi non è Maradona, e oggi che ha 27 anni possiamo dire che non lo sarà mai. Già, ma il problema è un altro. Perchè se il problema fosse che siccome Maradona ha vinto una Coppa del Mondo da solo e l’altro no, allora dovremmo dire che tra i migliori di tutti non ci dovrebbe stare Alfredo Di Stefano, che con l’Argentina ci ha giocato solo quando era in patria perchè se andavi all’estero non ti convocavano, e con la Spagna ha segnato a profusione ma vinto nulla. Dovremmo dire che nel mito non ci è entrato Johann Cruijff, sublime nel portare l’Olanda in finale ma poi uscito sconfitto di fronte, guarda un po’, ai tedeschi. Dovremmo dire che Ferenc Puskas era un ottimo attaccante ma poco più, visto che nella finale del 1954 si è piegato, che caso, alla Germania. E dovremmo dire, per restare alla rivalità di oggi, che tra Leo e Cristiano Ronaldo non c’è nemmeno paragone, perchè uno in finale ci è arrivato mentre l’altro è uscito al girone senza riuscire a battere gli Stati Uniti. La tesi dei detrattori è sempre quella:
O i compagni sono scarsi (ma anche Diego in quel 1986 non era circondato da fenomeni, anzi) o nel tuo club non ha vinto niente (ma Leo con il Barcellona ha vinto tutto, e più volte) oppure non sei un fenomeno se non vinci un Mondiale da protagonista. A Messi insomma non è bastato portare di peso l’Argentina agli ottavi, segnando quattro dei sei gol della sua squadra. Non è bastato seminare mezza difesa svizzera quando tutti pensavano ai rigori e servire a Di Maria un cioccolatino da scartare (scartato). Quando c’è stato bisogno di fare a differenza, la Pulce non l’ha fatta. Ma il punto è che Messi non è mai stato Maradona; nemmeno quando segnava 50 gol in un campionato e 91 in un anno solare. Nemmeno quando metteva la sua firma su due finali di Champions League consecutive. Messi non è mai stato Maradona e basta. Erano altri tempi, soprattutto il Pibe de Oro è stato unico per carisma, determinazione, leadership. Gli è capitato, con queste doti, di vincere un Mondiale; all’altro no, ma la differenza non sta lì. Messi non è Maradona, ma non c’era bisogno di una finale persa per capirlo.
(Claudio Franceschini)