Il Brasile ha scelto: per rialzarsi dal disastro sportivo dei Mondiali 2014 l’uomo sul quale la federazione ha puntato, terminato lo Scolari-bis, è Dunga. Di nuovo: nel luglio del 2006 aveva preso il posto di Carlos Alberto Parreira che ai Mondiali era stato eliminato ai quarti di finale (dalla Francia). Il suo regno era iniziato alla grande: vittoria della Copa America dell’anno seguente con tanto di roboante 3-0 all’Argentina, successo in Confederations Cup con 3-2 agli Stati Uniti. Alla Coppa del Mondo del 2010 era arrivato con i favori del pronostico e una squadra sulla carta fortissima, che poteva contare su Kakà e Luis Fabiano, Robinho e Julio Baptista, Thiago Silva, il terzetto Julio Cesar-Maicon-Lucio reduce dal Triplete con l’Inter. Era però finita male: 1-2 subito dall’Olanda, e altro addio ai quarti. La stampa verdeoro, che sa essere molto “brutale” e diretta, non gliel’aveva perdonata: l’avevano accusato di far giocare male una nazionale che aveva tutto per dominare, e non erano mancate le battute sullo stile nel vestire (la sua stilista è la figlia). Eppure, eccoci di nuovo qui: Carlos Caetano Bledorn Verri, per tutti Dunga che in portoghese significa Cucciolo. Sì, quello dei sette nani. In Italia lo ricordiamo bene: sei anni tra Pisa, Fiorentina (quattro stagioni) e Pescara, ma soprattutto il rigore che precedette quello di Roberto Baggio nella finale del Mondiale 1994. Allora, Dunga era un centrocampista e sollevò la coppa da capitano. E’ lui a dover risollevare il morale del Brasile: lui che a sorpresa ha vinto il ballottaggio con Tite, l’allenatore del tris Brasileirao-Libertadores-Mondiale per Club con il Corinthians. Il perchè della scelta? “E’ stata presa all’unanimità dai consiglieri” ha spiegato in conferenza stampa José Maria Marin, presidente della Federazione. Che il nuovo Commissario Tecnico ha subito ringraziato, prendendo la parola e spiegando che “non possiamo fare terra bruciata di quello che è stato, ma la pianificazione è fondamentale”. Il compito è improbo: quello che è toccato a Zezé Moreira che dovette guidare il Brasile ai Mondiali 1954 per riscattare il Maracanazo subito da Flavio Costa (fallì, eliminato dall’Ungheria nonostante avesse un’ottima squadra). “L’obiettivo è il 2018, ma non ci possiamo dimenticare la Copa America e le Olimpiadi che giocheremo in casa. Saneremo le ferite con i risultati, ma per ottenerli dovremo lavorare e pianificare”. E poi la frase che forse da quelle parti suona come un sacrilegio: “Oggi il calcio è competitivo: dobbiamo essere umili e capire che non siamo più i migliori”. Duro, ma vero: rendersene conto e accettarlo è il primo passo verso la rinascita. Sarà Dunga l’uomo del destino?



(Claudio Franceschini)

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