Ancora una volta Flushing Meadows resta il regno di Serena Williams. La numero 1 del mondo trionfa nella finale degli Us Open 2014 per la terza volta consecutiva, superando Caroline Wozniacki con il punteggio di 6-3 6-3 (un’ora e 15 minuti). E’ il primo Major della stagione per l’americana, che resta in vetta al ranking con ampie possibilità di chiudere un’altra stagione da leader WTA (sarebbe la quarta).
Facciamo parlare i numeri. Titolo Slam numero 18, il sesto a New York (terzo consecutivo): nel primo caso raggiunge Chris Evert e Martina Navratilova (che lhanno premiata sul campo), nel secondo aggancia Cenerentola in scarpe da tennis per numero di Us Open vinti nellera moderna. Non ha concesso nemmeno un set, perdendo una media di 4,5 game a incontro; non ha mai lasciato più di 3 giochi in un singolo set. Tutto questo in un anno durante il quale non aveva raggiunto gli ottavi nei tre Major precedenti. Quello che più impressiona, però, è che ancora oggi riesca a emozionarsi (nel discorso finale) quando ormai le resta solo da andare a riprendere Steffi Graf e, volendo, Margaret Smith Court. La fame, e il non darla mai per scontata. Ora tutti si chiederanno: quanti ne potrà ancora vincere? La storia insegna che Martina Navratilova aveva 33 anni e 9 mesi quando vinse a Wimbledon nel 1990 il suo ultimo Slam; lei i 33 li compie tra poco più di due settimane. Siamo lì, con una differenza: ventiquattro anni fa la Graf aveva già centrato il Golden Slam e Monica Seles stava per iniziare il suo breve ma devastante dominio. Insomma, per ora sembra che la risposta sia una sola: dipende da quanto deciderà di proseguire.
Ha giocato un tennis irreale non solo per le due settimane del torneo, ma per tutta lestate. Ha definito Serena Williams an ubelievable friend ed è effettivamente così, ma in queste settimane lha vista anche come un incubo: da lei ha perso a Montréal e Cincinnati. E ieri: stavolta al terzo set non ci è nemmeno arrivata, ma ha dato tutto quello che aveva. Ci fosse stata qualunque altra avversaria, oggi la danese avrebbe il primo Slam della carriera; invece si deve accontentare della seconda finale persa a New York (a cinque anni dalla prima), del ritorno nella Top Ten e di aver ritrovato quel tennis che laveva spinta in vetta al mondo. Sempre senza perdere il sorriso (“adesso paga da bere” ha detto alla Williams sull’Arthur Ashe, minuti dopo aver perso).
Un grande torneo, coronato con il secondo titolo Slam nel doppio. Prima semifinale in un Major conquistata con vittorie illustri su Bouchard e Azarenka, senza dimenticarsi della seconda vittoria nel giro di un mese sullamica e partner Vesnina. A 26 anni potrebbe essere arrivata al momento della definitiva maturazione; se trova la costanza che non ha mai avuto potrà fare male a molte. A Wimbledon aveva centrato i quarti: questo exploit non è un caso, anzi. Contro Serena è stata unaltra storia, ma non dipende nemmeno troppo da lei; è proprio che le altre giocano un altro tipo di torneo.
Strepitosa, non si può definire in altro modo; talmente strepitosa che vederla uscire in sedia a rotelle, dolori ovunque e difficoltà respiratorie dallArthur Ashe ha fatto ancora più male. Radwanska, Vinci, Safarova, Bencic: questi gli scalpi illustri della cinese che soprattutto fino alla semifinale non aveva perso un singolo set. Di più: prima di crollare fisicamente, stava facendo match pari contro la Wozniacki. Gioca tutto a due mani, ha un servizio quasi inesistente ma, essendo ottima doppista, sa dove mettere la palla; fino a oggi non aveva mai trovato intensità, lo ha fatto alla grande a New York ma è finita male. Auguri per una pronta guarigione: se li merita tutti.
Un voto più basso non glielo si può francamente dare, anzi: non è qualcosa in più solo perchè nel quarto di finale si è sciolta e ha vinto solo tre game. Ma se hai solo 17 anni, sei al primo anno tra i pro e arrivi tra le migliori otto di uno Slam battendo due Top Ten in tre giorni, le uniche cose da dire sono due. Prima: chapeau. Seconda, avendo seguito la carriera juniores della svizzera: premesse mantenute e a rivederci molto presto, perchè siamo piuttosto convinti che questo non sia un fuoco di paglia ma linizio di una luminosa carriera. Avesse centrato la semifinale il paragone con Chris Evert (che era come lei nellanno dei 17, pur non avendoli compiuti) sarebbe stato scontato; forse è meglio così perchè Belinda non ha bisogno di accostamenti scomodi, ma solo di giocare. E vincere, cosa che farà molto presto.
Meriterebbe 9 solo per come ha vinto il terzo set contro Venus Williams, che non aveva mai battuto prima; la realtà è che il suo tabellone non era complicatissimo, se è vero che l’americana è stata l’unica testa di serie incrociata prima della sconfitta contro la Wozniacki. Una caduta peraltro netta, con un solo game vinto; del resto presentarsi alla vigilia della sfida che vale la semifinale e sottolineare che già superare il primo turno sarebbe stata una vittoria non ti rende propriamente una killer a sangue freddo. Peccato, pur se va detto che ai quarti agli Us Open ci devi sempre arrivare e che con la Wozniacki di oggi non avrebbe vinto quasi nessuno. Dispiace di più per il doppio: l’eliminazione al secondo turno è sinceramente un flop.
Vale lo stesso discorso: tabellone del tutto abbordabile, brava Flavia – perchè, come sopra, bisogna sempre vincerle le partite – a gestire e trovarsi ai quarti con solo un paio di sussulti. Poi Serena: la brindisina si è detta soddisfatta di averle fatto tirar fuori il massimo per batterla. Vero, ma i game vinti da Flavia sono stati appena cinque. E dunque? E dunque, è l’ennesima dimostrazione che la minore delle Williams gioca in un circuito a parte, dove a poterla battere è solo la sua condizione. Quanto alla Pennetta, quinta volta ai quarti di Flushing Meadows negli ultimi sette anni e in più la finale del doppio che le alza decisamente il voto: se andrà avanti così, con Martina Hingis si divertirà eccome.
Forse non è ancora la vera Vika, ma si sta avvicinando. Recuperare dall’infortunio a un piede è sempre affare complicato; la bielorussa, finalista nelle ultime due edizioni, ha rischiato di uscire già al primo turno quando è finita sotto di un set e ha sofferto tantissimo per rimontare Misaki Doi e lo stesso le stava accadendo con Aleksandra Krunic. Si è spinta fino ai quarti, ma alla prima giocatrice che la teneva in potenza – Makarova – ha nettamente perso facendo intuire che c’è ancora qualcosa da sistemare in termini di condizione. Avremmo voluto vedere la terza sfida in tre anni contro Serena Williams, anche se non sarebbe stata una finale; appuntamento eventualmente in Australia, perchè difficilmente al Master Vika ci sarà.
Merita il voto più alto, Williams a parte. A 15 anni e 4 mesi – naturalmente la prima partecipazione a uno Slam – ha fatto fuori la testa di serie numero 12 (Cibulkova) rimontando un break di svantaggio nel terzo set. E’ durata poco, ma abbastanza da vincere 6-0 un parziale contro Zarina Diyas e diventare, soprattutto, la più giovane vincitrice di un match a Flushing Meadows dai tempi di Anna Kournikova, 18 anni fa. In conferenza stampa ha mostrato la sua età, lontana da modi freddi e distaccati; ma nemmeno era sopraffatta dall’emozione. “Voglio rimanere junior ancora per un po’” ha detto. E poi, a chi le chiedeva del suo nome e della sua famiglia: “Non ne sono sicurissima, chiedete a mio padre. E’ lì”, indicandolo. Al suo secondo match il campo numero 17 era gremito manco vi avessero dirottato la finale. Poi ha perso al secondo turno del torneo juniores, ma che importa: la storia l’aveva già scritta, e tra poco la rivedremo.
Da quando si è operata alla spalla la sensazione è sempre la stessa: quella di una giocatrice che cammini come in equilibrio precario, con la paura di rompere tutto. Ha giocato da Sharapova solo in un paio di occasioni: contro la Lisicki, e nel secondo set contro la Wozniacki (a tratti anche nel terzo). Poi, punto senza a capo, perchè è uscita agli ottavi. Forse il grande rammarico, guardando indietro all’inizio dei Duemila, sarà quello di esserci persi la grande rivalità tra lei e Serena Williams, che non si amano (e non è un mistero) e sul campo se possono se le danno di santa ragione. Purtroppo i guai fisici di Maria hanno tolto sale alla sfida; la russa torna numero 4 al mondo, ma da New York se ne va triste. In Australia, dove ha vinto nel 2008, un’altra occasione.
Un flop. Erano arrivate a New York con una possibilità, sia pure flebile, di soffiare a Serena Williams lo scettro della classifica WTA; tornano a casa con le pive nel sacco, eliminate entrambe al terzo turno. Una, la Kvitova, dalla giovane Krunic che l’ha dominata dall’inizio alla fine; l’altra, la Halep, dall’emozionale ritorno di Mirjana Lucic-Baroni dopo aver rischiato di uscire già al primo turno. La rumena non era al top e questa è una minima attenuante (aveva già giocato a New Haven, perdendo anche lì); rimandati i propositi di numero 1, devono ora meditare sul fatto che se vuoi essere in vetta non puoi permetterti di giocare bene un torneo (sia pure prestigioso) e male due. Vale più per la ceca a dire il vero, ma anche la Halep arrivata lassù non può più permettersi di essere incostante.
La nuova classe del tennis femminile sta crescendo, ma è rimandata. Questa volta anche Eugenie Bouchard ha fallito: gli Us Open sono l’unico Slam stagionale nel quale non ha raggiunto almeno la semifinale. Un paio di picchi: detto di Belinda Bencic e della Bellis, anche Aleksandra Krunic ha giocato un Us Open straordinario centrando gli ottavi con tanto di vittoria – netta – su Petra Kvitova, ultima campionessa di Wimbledon. C’è anche Karolina Pliskova che ha battuto la Ivanovic; le altre si sono più o meno perse, non riuscendo a confermare le cose buone che avevano evidenziato (Madison Keys ha perso il “derby delle adolescenti” contro la Krunic). Ci saranno altre occasioni, ma una cosa è confermata: gli Us Open sono duri, durissimi, e qui non ci si improvvisa campionesse a meno di non esserle nel sangue.
Due sono arrivate ai quarti di finale e ne abbiamo parlato; le altre però sono rapidamente naufragate. Ne abbiamo perse tre al primo turno: fa malissimo la sconfitta di Camila Giorgi contro Anastasia Rodionova perchè è l’ennesimo capitombolo di una giocatrice con tanto talento ma poca tattica e poca pazienza nel gestire i momenti. Fa male quella di Francesca Schiavone, che contro Vania King aveva tutte le possibilità di vincere ma ha regalato il primo set non riuscendo a tenere fisicamente nel terzo; brutta quella di Karin Knapp, perchè Tsvetana Pironkova su superficie dura non è certo imbattibile. Roberta Vinci è arrivata fino al terzo turno sfruttando un tabellone favorevole ma poi non ha avuto una chance contro la sorprendente Shuai Peng, perdendo presto anche nel doppio. Insomma: spedizione sfortunata dalla quale trarre insegnamenti e ripartire.
Postilla finale. Quando Martina Navratilova e Chris Evert sono comparse sul campo dell’Arthur Ashe, il sottoscritto ha pensato per un istante: adesso si levano i tacchi e iniziano a giocare. E, altro pensiero, se davvero l’avessero fatto avrebbero dato biada a tante, tantissime giocatrici di oggi; anche così, a quasi 60 anni e vestito da sera. Ovviamente non l’hanno fatto: qualche foto, sorrisi e maree di applausi, e poi scena alla Williams. I tempi passano: lo farà anche quello di Serena. Finchè c’è, godiamocela.
(Claudio Franceschini)