Nella notte tra giovedì e venerdì è scomparso Bruno Pesaola, calciatore e allenatore argentino che ha fatto parte a pieno merito della storia del calcio italiano tra gli anni Cinquanta e Settanta. Nato a Buenos Aires del 1925 da padre marchgiano, Bruno fin da ragazzino è soprannominato Petisso, ovvero piccoletto, per la sua statura minuta. Dopo aver giocato nelle giovanili del Rivel Plate, nel 1947 arriva in Italia, per giocare con la Roma.



Attaccante brevilineo, svelto di gambe e abile nel controllo di palla e nelle finte, segna 20 gol in 90 partite, prima di infortunarsi gravemente a tibia e perone (a causa di un brutto fallo di reazione del palermitano Aredio Gimona). Intanto, però, stringe amicizia con attori come Walter Chiari e trova persino il tempo di recitarne al fianco nel film di Mario Mattioli “L’inafferrabile 12”. Vista la gravità del proprio infortunio, Pesaola pensa che la sua carriera sia finita, ma invece Silvio Piola, campione del mondo nel 1938 ormai a fine carriera lo convince a disputare un provino con il Novara, dove gioca anche lui. E Pesaola resta con i piemontose per due stagioni, giocando al fianco dell’esperto attaccante azzurro e mettendo a segno 15 gol in 64 partite.



Nel 1952 però Pesaola si trasferisce a Napoli, per vivere gli anni migliori della propria carriera di giocatore. Nella società partenopea resta fino al 1960, disputando 240 gare ufficiali e diventandone una bandiera. Nel 1957 gioca da oriundo con la Nazionale italiana, contro il Portogallo in una partita valida per le qualificazioni al Campionato del Mondo del 1958 (a partire dal 1953 Pesaola aveva già racimolato 6 presenze con la Nazionale B). Dopo un rapido passaggio per il Genoa, Pesaola chiude la carriera alla Scafatese, di cui assume inoltre il singolare ruolo di giocatore/allenatore. Ma il suo incarico dura solo un anno, perché dopo pochi mesi arriva una chiamata da Napoli difficile da rifiutare. E infatti il cuore lo riporta nel capoluogo campano, dove prende una squadra che naviga nelle brutte acque della serie B e la riporta a fine anno nella massima serie. Non solo: nella stessa stagione vince anche la Coppa Italia, un inedito per una squadra di serie cadetta (e un evento che non si ripeterà più, a oggi). Nel 1966 vince con i biancoazzurri il primo trofeo internazionale, la Coppa delle Alpi, con una squadra che schierava in attacco José Altafini e Omar Sivori. L’amore per Napoli e per la sua squadra da parte di Pesaola non si esaurirà mai, tanto da spingerlo a tornare ad allenare la squadra per ben due volte, nel 1976 e nel 1982.



Nel 1968 intanto si trasferisce alla Fiorentina, vincendo al primo tentativo lo scudetto (il secondo nella storia della società viola), dopo una cavalcata lunga tutto il girone di ritorno. Alla fine del campionato, la squadra registra un’unica sconfitta (contro il Bologna) e una storica imbattibilità esterna. La stella della squadra è il brasiliano Amarildo, affiancato dal giocatore della Nazionale Giancarlo De Sisti. Ma la differenza la fa proprio Pesaola, con la sua bravura tattica nel preparare le partite. Tra il 1972 e il 1976 è a Bologna, dove conquista la seconda Coppa Italia della sua carriera (e la seconda del club rossoblu), per poi tornare al Napoli, per una singola stagione. Con la società partenopea non riesce a ripetere le stagioni esaltanti del passato, ma trionfa nella Coppa di Lega Italo-Inglese, sconfiggendo in finale il Southampton. Nelle stagioni successive torna prima a…

…Bologna, per poi allenare in Grecia il Panathinaikos, nel 1979-80. Si tratta dell’unica parentesi della sua carriera al di fuori dall’Italia, che in effetti dura molto poco. Dopo una sola stagione, infatti, torna nello Stivale, ingaggiato dal Siracusa per il campionato di C1. Fa ritorno nuovamente al Napoli, ma l’unica immagine che resta di quell’annata è di lui che stringe il rosario, durante un Napoli-Cagliari, mentre Moreno Ferrante è in procinto di tirare un calcio di rigore decisivo. A fine stagione lascia definitivamente il Napoli, con il rimpianto enorme di non essere mai riuscito a vincere uno Scudetto con quelli che sono diventati ormai i suoi colori del cuore. A dimostrazione di un amore per il calcio sconfinato, che non guarda in faccia né soldi né prestigio, Pesaola chiude però la propria carriera di allenatore nel 1984-85 alla guida del Campania Ponticelli, squadra dell’omonimo quartiere di Napoli che milita nel campionato di C1. La stagione si chiude con un ottavo posto, ma i tifosi sono comunque entusiasti.

Con i suoi modi di fare pacati e la sigaretta sempre accesa tra le labbra, finisce per diventare una figura dell’immaginario collettivo, tanto da essere omaggiato persino dal futuro premio Oscar Paolo Sorrentino, che, tifoso incallito del Napoli qual è, inserisce nel suo primo lungometraggio del 2001, “L’uomo in più”, un personaggio di nome il Molosso (interpretato da Nello Mascia) a lui ispirato. Negli anni Ottanta partecipa come opinionista a diverse trasmissioni televisive, senza mai abbandonare la città di Napoli, di cui riceve addirittura la cittadinanza onoraria nel 2009. Ed è proprio nel capoluogo campano che oggi si è spento, a un passo dai 90 anni, che avrebbe compiuto a luglio, lasciando un’intera città in lutto per la scomparsa del suo amato Petisso, uomo dalla grande ironia ma dai modi sempre contenuti. I messaggi di cordoglio sono arrivati dalle società in cui ha vinto, ovvero Napoli, Fiorentina e Bologna, ma anche dal sindaco partenopeo Luigi De Magistris.