Finalmente ci siamo. Conclusa la fase a gironi, la Coppa America 2015 entra nei quarti di finale (si parte nella notte tra mercoledì e giovedì). Non si scherza più: chi perde va a casa. Il dato che vale la pena sottolineare riguarda le qualificate ai quarti rispetto allultima edizione: sette su otto sono le stesse, leccezione è la Bolivia che ha preso il posto del Venezuela (ma va detto che con 12 partecipanti è facile che le protagoniste siano le stesse). Tra conferme, sorprese e delusioni, diamo uno sguardo alle quattro partite che ci aspettano.
Il big match senza discussioni. Chi scrive resta convinto che il Cile sia ancora il vero favorito per la vittoria; non tanto perchè gioca in casa, quanto perchè è messo benissimo in campo da Jorge Sampaoli, ha individualità in grado di fare la differenza (da Claudio Bravo a Medel, da Vidal al Mago Valdivia) e soprattutto riesce a essere più gruppo di altre nazionali che vanno un po per conto loro. Già al Mondiale avrebbe meritato di più, qui se non altro è favorito rispetto a un Uruguay che dà la netta sensazione di essere arrivato alla fine di un ciclo. I giovani – chi più chi meno – faticano ad inserirsi, lassenza di Suarez si sente eccome e Cavani in nazionale non fa la differenza, la prima fase è stata una grande fatica. Se va come deve, passa il Cile; la Celeste campione in carica ha però i giocatori per andare in semifinale.
Il quarto tra outsider. Il Perù ripete la qualificazione di quattro anni fa, sfruttando le amnesie delle big del suo girone e la pochezza del Venezuela; un gruppo compatto senza grandissime stelle ma con qualche veterano (Vargas, Farfan e Guerrero senza dimenticarsi di Claudio Pizarro) che a questi livelli serve eccome. A ben guardare la sorpresa è la Boliva: raramente fa risultati quando scende dalle sue altitudini sconsigliate ai più, invece qui ha tenuto botta e si è qualificata a spese dellEcuador che ha battuto nello scontro diretto. Certo: ha segnato tre gol in una sola partita e ne ha presi cinque dal Cile. Però è ai quarti, e non ci sono altre squadre; adesso in una partita secca sai mai cosa potrebbe succedere.
Sulla carta è quasi una finale, ma le attese per ora sono state tradite. LArgentina ha faticato tremendamente con tutte: si è fatta rimontare due gol dal Paraguay, ne ha fatto uno alla meno che modesta Giamaica, ha battuto di misura lUruguay. Al di là di una Coppa America maledetta (non la vince da 22 anni), lAlbiceleste che ha una rosa pazzesca e risorse infinite sembra scarica e timorosa, non riesce a esprimere il suo gioco e soprattutto ha un Messi da un solo gol (su rigore). Che sono gli stessi di James Rodriguez: la Colombia che incantava al Mondiale e avrebbe meritato semifinale e forse di più è scomparsa. Segnare un gol (un gol) con un attacco che è secondo solo a quello dellArgentina (e numericamente è pure superiore) è grave; i Cafeteros si sono salvati con la difesa, ma non si può dimenticare che hanno perso contro il Venezuela e non hanno segnato al Perù. La vittoria contro il Brasile li ha spinti avanti ma ora è dura; certo tra due nazionali in difficoltà chissà cosa potrebbe venire fuori.
Quattro anni fa si trovarono nel girone (2-2) e ancora ai quarti, dove il Brasile riuscì a non segnare e sbagliare tutti i rigori della lotteria in una serata da incubo. Era il Brasile di Pato e Ganso, quello che avrebbe dovuto spopolare al Mondiale: nessuno dei due giocò in casa propria, dopo quel flop si rividero tante cose. Solo che adesso il Brasile arriva dal Maracanazo e non può permettersi di sbagliare; ha vinto il suo girone ma arriva ai quarti senza Neymar (ancora), senza un attaccante degno di questo nome (Firmino è bravo, ma ripensando a certi bomber verdeoro piange il cuore) e ancora senza un gioco. E allora attenzione: il Paraguay, che non è più il Paraguay di una volta ma i risultati li centra comunque, può pensare di fare il colpaccio. Leggi, portare il Brasile ai supplementari, magari ai rigori e giocarsela. E la Seleçao non si può permettere unaltra eliminazione precoce, anche se ha una delle nazionali meno talentuose di sempre.
(Claudio Franceschini)