Un altro campionato di Serie A è passato agli archivi, il centotrentottesimo per l’esattezza, ed è tempo di stilare un bilancio assegnando gli Oscar, come si fa per il cinema. Sul nostro red carpet si accalcano personaggi, momenti e citazioni che hanno scritto un’altra storia calcistica, prematuramente chiusa dalla Juventus tritatutto ma non per questo povera di spunti e figure da ricordare. La prima statuetta individuale da assegnare è quella più rappresentativa: l’Oscar al miglior attore, in sintesi il giocatore più decisivo del campionato. Etichetta roboante e al tempo stesso quasi scontata: a rigor di logica il miglior attore in Serie A dovrebbe essere il top player della squadra più forte, quindi Carlos Tevez della Juventus.



Ci piace però considerare il premio all’americana, ovvero come il titolo di MVP che premia la moneta più pesante nell’economia della propria squadra. In tal senso l’Apache bianconero è meglio accompagnato, dal primo Buffon all’ultimo Morata sono tante le frecce avvelenate nella faretra di Allegri. Luca Toni è in una condizione diversa: il Verona in cui agisce è una buona squadra, compatta nell’incedere e difensivamente solida, ma complessivamente non sta alla corsa salvezza come la Juventus a quella scudetto. Entrambe le formazioni sono state aiutate dai problemi delle concorrenti ma mentre l’Hellas ha raggiunto l’obiettivo con relativa calma (e tanto di cappello), i bianconeri l’hanno varcato con mesi di anticipo: ecco perché il peso specifico dei gol di Toni, capocannoniere all’età di 38 (trentotto!) anni, risulta maggiore. Aggiungiamoci il gap anagrafico tra i due e il gioco è fatto: Oscar a Toni, Tevez potrà rifarsi l’anno prossimo con buona pace (si spera!) del Boca Juniors.



diventato un fenomeno a livello nazionale. L’anno scorso arrivò a 12 gol ma con tre partite in più (37-34), questa volta si è fermato a 10 ma la sua totalità è apparsa ancora più evidente. Quasi mai insufficiente nelle pagelle di fine partita sta vivendo una maturità tecnica ed agonistica impressionante, di cui potrà giovarsi anche la Nazionale di Conte. Questo è stato però anche il campionato di Paulo Dybala, cresciuto a tal punto da meritarsi l’immediato investimento della Juventus. Nel suo caso i gol sono la punta dell’iceberg, perché spesso e volentieri stupisce più ciò che riesce a fare prima, ma vanno sottolineati a dovere perché sempre di attaccante si tratta. Gli scettici paragonano la sua parabola a quella di Iturbe (che aspettiamo con fiducia), ma il Dybala del Palermo è stato più continuo e soprattutto si muove da attaccante vero, mentre il connazionale della Roma assomiglia ancora più ad un centrocampista offensivo per certi versi. Nella Capitale restiamo volentieri per una segnalazione lapalissiana ma doverosa: quella per Radja Nainggolan, MVP del campionato romanista e centrocampista ormai di prima fascia. Il belga non dipende più dalla partita attorno a lui: gioca bene sempre e comunque, per questo è meglio del più talentuoso ma lunatico Pjanic. Scendendo ancora di un gradino citiamo… 



…due attori protagonisti in quel di Genova. Il primo è l’oriundo Eder, costante sia nel preoccupare gli avversari che nell’aiutare i compagni, e velocissimo pur nei suoi tratti quasi paffuti: senza di lui la Sampdoria ha smesso di suonare a ritmo europeo. Il secondo è Andrea Bertolacci che ormai è giovane solo a livello anagrafico: alla sesta stagione in Serie A ha mostrato miglioramenti tecnici e mentali, per una polivalenza che lo ha reso sia spada che fioretto nel centrocampo di Gasperini. I 6 gol e 9 cartellini gialli sono lì a dimostrarlo. Scegliamo lui e non Mattia Perin, protagonista di un campionato strepitoso, privilegiando le buone maniere offensive del Genoa ai pur grandi meriti del suo portiere (potremmo in tal senso citare anche Diego Perotti, che ha esploso petardi dopo l’inizio in sordina). A proposito di numeri un’altra citazione d’obbligo è per Kamil Glik del Torino, che da difensore centrale ha pareggiato il conto di reti ed ammonizioni (7 e 7): più protagonista di così…

(Carlo Necchi)