Il tennis è strano. Ci sono giocatori che dominano il circuito per anni e anni, diventando campioni, fuoriclasse, quasi rockstar (o anche più di rockstar). Ci sono giocatori bravi, anche bravissimi, che vincono poco o tanto, e che qualcuno ogni tanto tira fuori per dire che “ah, attenzione al suo rovescio” oppure “lui sì, che metteva in crisi i big”.



E poi ci sono i giocatori che si perdono in un mare di colleghi-avversari, magari fanno un risultato qua e altri due là, ma non lasciano il segno. Ma sono tutti accomunati da una cosa: la voglia di affermarsi. Se chiedete oggi al numero 270 del ranking quale sia il suo sogno nel cassetto, difficilmente vi risponderà qualcosa di diverso da “vincere Wimbledon”. O gli Us Open. O magari l’oro olimpico. Solo che non tutti nascono con il talento di Roger Federer, non tutti si chiamano Novak Djokovic e non tutti hanno lo straripante dominio fisico di Serena Williams.



E’ il solito discorso: valgono di più tre titoli Slam del Nadal dei tempi d’oro, o il Flushing Meadows tirato fuori dal cilindro dal nemmeno ventunenne Del Potro? Naturalmente una vittoria è una vittoria, anche perchè Nadal non è nato cannibale del circuito ATP; il modo però in cui viene percepito dal grande pubblico, o anche dall’appassionato o dall’addetto ai lavori, può sensibilmente cambiare. Un esempio ci arriva dagli Australian Open 2016, in corso di svolgimento a Melbourne. Nel tabellone principale del torneo femminile, al primo turno arriva il sorpresone: Shuai Zhang, cinese (di Tianjin) di quasi 27 anni (li compirà giovedì) si fa un regalo anticipato e, dopo i tre turni di qualificazione, elimina la numero 2 del mondo Simona Halep, in due set e chiudendo con un dritto vincente che bacia la riga laterale.



Dice: d’accordo, ma gli upset nel mondo del tennis esistono da sempre, e ce ne sono stati di più clamorosi. Vero; in più, la Zhang è stata anche numero 30 del mondo e ha vinto un torneo International. Per dire, non la prima venuta. E allora, perchè la cinese, nel momento dell’intervista, è scoppiata in un pianto dirotto che le è costato 30 secondi per ricomporsi? Semplice: perchè le è stato ricordato che quella contro la Halep è la prima vittoria nel tabellone principale di uno Slam. La prima. A 27 anni.

Pensate a Shuai Zhang: in Cina, da qualche anno a questa parte ogni tennista cresce nel tentativo di emulare Na Li. Per un periodo anche lungo, Shuai è stata la sua principale erede, se non altro quella più promettente. Ha vinto incontri importanti, ha fatto strada nei tornei. Ma quella dannata vittoria Slam non arrivava mai. Prima o poi, si diceva, capiterà; arriverà un sorteggio più morbido, arriverà un giorno in cui non sbaglio niente, arriverà quel secondo turno. E invece niente: quattordici apparizioni, quattordici sconfitte immediate. Frustrante.

Poi arriva la quindicesima, e finalmente vinci; e non lo fai su un campo periferico contro la carneade di turno, bensì in un’arena dedicata a Margaret Court Smith, davanti a migliaia di persone e contro la numero 2 del mondo. Tutto in una volta. E adesso? Adesso, la Zhang sa che molto facilmente tornerà a casa tra un paio di giorni. Sa bene che Alizé Cornet le è superiore, e che il suo Australian Open non vedrà comunque la seconda settimana. Non conta. Shuai giocherà per vincere ancora e ancora, sognando Na Li e le sue gesta; se però gli Slam si vincono partendo dal primo turno, allora capirete bene le sue lacrime. 

(Claudio Franceschini)