Olimpiadi di Berlino 1936: i Giochi dell’esaltazione dell’ideologia nazista ma anche di un campione della pelle nera, Jesse Owens, che incrina il mito della superiorità della razza ariana. Le Olimpiadi anche di un caso che in realtà non esiste: quello della (falsa) mancata stretta di mano fra Adolf Hitler e il campione statunitense. Che in realtà il rifiuto del Fuhrer a stringere la mano ad Owens fosse un falso è già noto da anni, ma il mito resiste e adesso per ristabilire la verità arriva il film Race, in uscita il 19 febbraio negli Stati Uniti, che racconterà la vita di uno dei più grandi atleti della storia.
Andiamo con ordine: nel 1931 il Cio assegnò a Berlino i Giochi del 1936. Il partito nazionalsocialista non era ancora al potere, che Hitler conquistò solamente nel 1933. Il Fuhrer colse l’occasione per trasformare le Olimpiadi in una grande occasione di propaganda: quei Giochi furono in effetti un successo dal punto di vista organizzativo, ma la pista diede un duro colpo alle idee di superiorità della razza ariana propugnate dal nazismo. Infatti l’atleta simbolo di Berlino 1936 fu appunto Jesse Owens, che conquistò la bellezza di quattro medaglie d’oro. In ordine cronologico Owens vinse prima i 100 metri il 3 agosto, poi anche il salto in lungo (4 agosto), i 200 metri (5 agosto) e infine la staffetta 4×100 con la Nazionale statunitense (9 agosto).
Di certo i gerarchi nazisti non fecero salti di gioia davanti ai successi di un nero. Ad esempio, il famigerato ministro della propaganda del Terzo Reich Joseph Goebbels scrisse nel suo diario: L’ umanità bianca si dovrebbe vergognare. Eppure, Hitler non venne meno ai suoi doveri di padrone di casa ed omaggiò l’eroe dei Giochi nazisti anche dopo la vittoria nel salto in lungo, la gara in cui tutta la Germania attendeva il successo di Luz Long. La leggenda vuole che dopo avere assistito alla sconfitta subita dal saltatore tedesco ad opera del nero americano, Hitler se ne fosse andato stizzito dall’Olympiastadion senza omaggiare il vincitore. Falso, come dichiarò lo stesso Owens nella sua autobiografia, pubblicata nel 1970: Dopo essere sceso dal podio, passai davanti alla tribuna d’ onore per tornare negli spogliatoi. Il Cancelliere mi fissò. Si alzò e mi salutò con un cenno della mano. Io feci altrettanto, rispondendo al saluto. Giornalisti e scrittori dimostrarono cattivo gusto tramandando un’ ostilità che, di fatto, non c’ era mai stata.
Lo conferma un’altra fonte inattaccabile, cioè Marlene Owens, la figlia di Jesse, che agli sceneggiatori del film ha dichiarato: In realtà, mio padre non si è mai sentito snobbato da Hitler. Insomma, Hitler e il regime nazista hanno senz’altro colpe enormi nella drammatica storia del Ventesimo Secolo, ma almeno questa volta il Fuhrer va assolto. Anzi, è paradossale il fatto che fra tante brutalità realmente avvenute uno dei miti negativi più famosi circa Hitler sia proprio questo. Infatti la leggenda della mancata stretta di mano fra Hitler e Owens resiste ancora oggi, anche se è noto già da decenni che si tratti appunto soltanto di una leggenda. Era importante che i fatti non fossero riscritti per l’ ennesima volta ha detto Marlene, parlando a nome della Jesse Owens Foundation. Meno noto è quanto la figlia ha aggiunto: In retrospettiva, mio padre fu profondamente ferito dal fatto che Franklin Delano Roosevelt, il presidente americano dell’epoca, non l’avesse ricevuto alla Casa Bianca. Al rientro in patria, Owens si vide infatti cancellare – e mai più riprogrammare – un appuntamento da Roosevelt, impegnato nella campagna elettorale per le elezioni presidenziali di quell’anno e preoccupato della reazione che l’incontro avrebbe avuto negli Stati del Sud, dove il razzismo spesso dominava incontrastato. Roosevelt verrà rieletto ed Owens per reazione si iscriverà tra le file dei repubblicani. (Mauro Mantegazza)