Settima finale Slam persa, a fronte di due sole vinte: Andy Murray, sconfitto agli Australian Open 2016 per la quinta volta nella partita decisiva di Melbourne, si è dovuto inchinare al coetaneo e amico Novak Djokovic. Ancora una volta: era successo l’anno scorso, quando se non altro lo scozzese aveva strappato un set e combattuto ad armi pari nelle prime due ore. Stavolta, c’è stato poco da fare. “Ha vinto 25 o 26 punti più di me, e io ho fatto 25 o 26 errori gratuiti in più”. Per Murray, che ha parlato in conferenza stampa, la differenza è tutta qui. “Penso di non aver fatto bene con il dritto, soprattutto all’inizio” ha continuato il numero 2 del mondo. “Ho iniziato a colpire meglio nel terzo set, ma questo è quanto”. E un’altra chiave: “Quel game che ho perso da 40-0 è stato piuttosto duro; forse quel set me lo sarei potuto prendere – il secondo, ndr – stavo iniziando ad avere opportunità”. Ad ogni modo, Murray si è detto orgoglioso del modo in cui ha lottato in campo, riuscendo a tornare in partita; “ovviamente però non sono partito troppo bene”, e questo è stato il problema principale. Murray ha poi parlato del malore che ha colto Nigel Sears, il padre di sua moglie Kim (e coach di Ana Ivanovic) nella giornata di ieri: “Non so se mi sarei davvero ritirato” ha detto “ma è stato un duro colpo. Sono andato vicino al fare i bagagli, non mi ero mai trovato in una posizione simile”.



E’ un Novak Djokovic raggiante quello che si presenta ai microfoni della conferenza stampa post match: il trofeo degli Australian Open 2016, il sesto in carriera e l’undicesimo dello Slam, è già in bacheca e il serbo numero 1 del mondo pone l’accento sull’inizio del match contro Andy Murray: “Come in semifinale sono partito bene, molto aggressivo e nel modo in cui volevo giocare, sbagliando poco”. Non mancano i complimenti a Murray, che nel secondo e terzo set ha iniziato a servire meglio e ha combattuto punto su punto: “Penso che avrei potuto giocare meglio sul mio servizio, quando avevo il break di vantaggio; ma va dato merito a Andy per come ha lottato, mostrando perchè è uno dei migliori al mondo”. Per Djokovic sesto Australian Open, come dicevamo: “Questo è speciale perchè eguaglio Roy Emerson, ed è un onore essere menzionato insieme a Bjorn Borg e Rod Laver, leggende del nostro sport”. Una cosa a cui Djokovic pensava, nei recessi della sua mente; e alla quale ha cercato di non pensare troppo, “ma era un obiettivo, e dunque è stato anche un incoraggiamento”. E ancora: “Sono orgoglioso, e lo è il mio team. Abbiamo lavorato duramente per essere qui e adesso ce la dobbiamo godere”. Per Djokovic, questo è il miglior tennis espresso negli ultimi 15 mesi, anche grazie alla vita privata: “Sono un padre e un merito, ho una famiglia, perciò sono ad un punto nel quale è tutto in armonia”.



È il signore incontrastato del tennis odierno. Non ci sono dubbi in merito: la vittoria degli Australian Open 2016 è la sesta che il serbo centra a Melbourne, la quinta negli ultimi sei anni (ha fallito solo nel 2014). E’ già un record: condiviso conn Roy Emerson se si guarda a tutta la storia del tennis, assoluto prendendo in considerazione soltanto l’era Open. Non solo: Djokovic raggiunge gli 11 Slam in carriera, una cifra che lo pone al quinto posto assoluto a pari merito con Rod Laver, ovviamente presente nell’arena che porta il suo nome, e Bjorn Borg. Davanti ha solo Roger Federer (17), Rafa Nadal e Pete Sampras (14) e lo stesso Emerson (12); due di loro non giocano più, Federer non ha ancora molti anni davanti a sè e così anche Nadal, che per sua stessa ammissione contempla un precoce ritiro e in ogni caso fa oggi molta fatica contro i big. Insomma, lo spazio per arrivare ancora più su c’è; soprattutto perchè adesso Nole è diventato decisamente più concreto nelle finali Slam, che ora vince in modo più regolare rispetto al passato (ne ha vinte delle ultime otto giocate, perdendo solo al Roland Garros). Il modo in cui Djokovic ha battuto Andy Murray in finale racconta molto: secondo e terzo set sono stati combattuti, ma il serbo si era preso il primo in mezz’ora facendo già capire come sarebbe girato il fumo (esattamente come accaduto in semifinale contro Federer), e in generale Djokovic non ha mai dato l’impressione di poter perdere. In testa al ranking ATP dal luglio 2014, dovrà ancora macinare chilometri per raggiungere il record di Roger Federer (237 settimane consecutive da numero 1) ma il suo vantaggio è quello di non avere, come successo allo svizzero o a Nadal, un avversario potenzialmente in grado di detronizzarlo. A meno che non esploda qualcuno, al momento il regno di Novak Djokovic nel mondo del tennis maschile non è in discussione; agli altri il compito di provare a farlo tremare, ma al Roland Garros Nole arriverà con il preciso intento di mantenere vive le speranze di Grande Slam. Che, chissà, essendo in un anno olimpico potrebbe anche diventare un Golden Slam; intanto, vincendo a Parigi completerebbe quello in carriera, visto che gli Open di Francia sono l’unico Major che ancora manca nella sua straordinaria bacheca fatta di 60 tornei vinti.



(Claudio Franceschini)