Il terribile lutto che ha colpito la Chapecoense può essere assimilato a quello che colpì il Grande Torino alla fine degli anni ’40. L’incidente aereo avvenuto in Colombia nella notte ha provocato la morte di quasi tutta la rosa del club brasiliano, che domani avrebbe dovuto disputare la finale di Copa Sudamericana contro l’Atletico Nacional. Come il leggendario Torino di Egri Erbstein, improvvisamente finisce in un sol colpo anche la favola Chapecoense: una squadra intera cancellata per sempre dalla faccia della terra ma non dal cuore dei tifosi e degli sportivi. Il fato ha voluto che la vicenda della formazione carioca fosse tristemente simile alla tragedia di Superga. Il Torino, non a caso, ha dedicato un messaggio alla Chapecoense con un tweet commovente: “Commozione per la tragedia Chapecoense – scrivono i granata – è un destino che ci lega indissolubilmente.Vi siamo fraternamente vicini”. A Superga ci furono 31 vittime tra giocatori, tecnici, dirigenti e giornalisti partiti al seguito del Torino, impegnato in un’amichevole a Lisbona contro il Benfica; in Colombia, a 50 chilometri da Medellin, sono morte 76 delle 81 perrsone presenti a bordo dell’RJ-85 della compagnia Lamia. L’ultima partita disputata dal Grande Torino nel 1949 combaciò con una vittoria, 4-3 al Benfica; anche l’ultimo match disputato dal Chapecoense è coinciso con una sconfitta. Domenica scorsa i brasiliani hanno perso di misura in campionato contro il Palmeiras. Un’altra similitudine che avvicina ulteriormente queste due enormi tragedie.
La tragedia aerea accaduta in Colombia e che ha colpito la squadra brasiliana della Chapecoense (clicca qui per approfondire) fa tornare alla mente, purtroppo, il fatto che il 4 maggio 1949 colpì il mondo del calcio e, più in generale, dello sport italiano. Una tragedia che, sia pure lontana più di 67 anni, è ancora vivissima nei ricordi: la leggenda del Grande Torino, cinque scudetti consecutivi (il quinto assegnato sostanzialmente a tavolino, ma quella squadra stava dominando il campionato), si spezzò definitivamente in quel pomeriggio primaverile in cui il Fiat G.212 della compagnia aerea ALI andò a schiantarsi contro il terrapieno posteriore della Basilica di Superga, sulla collina torinese. Morirono 31 persone: 18 componenti della squadra, due allenatori e un massaggiatore, tre dirigenti, tre giornalisti e quattro membri dell’equipaggio. Fu il tempo pessimo a generare l’incidente: quando il pilota decise di virare a sinistra era convinto di avere la collina di Superga a destra, invece ce l’aveva davanti e non potè fare nulla per evitarla. A bordo c’erano Valerio Bacigalupo e capitan Valentino Mazzola, Ezio Loik e Franco Ossola, Virgilio Maroso e Aldo Ballarin, Guglielmo Gabetto: una squadra leggendaria, ritenuta giustamente una delle più forti d’Europa. A identificare le salme fu Vittorio Pozzo, torinese ed ex CT della Nazionale, che aveva portato a vestire la maglia dell’Italia praticamente tutto il Torino (e che non partecipò alla trasferta perchè la squadra preferì invitare il giornalista Luigi Cavallero).
Il Grande Torino rientrava da Lisbona: aveva disputato un’amichevole contro il Benfica perchè Francisco Ferreira, capitano dei lusitani, aveva chiesto un aiuto economico all’amico Valentino Mazzola. Il quale, pure con la stagione al termine e la squadra stanca, non aveva saputo rifiutare. Si disse anche che i granata sarebbero dovuti fermarsi a Barcellona (dove incrociarono il Milan, che andava a Madrid) per la notte, ma che lo stesso Mazzola, in ragione della stanchezza, premette per rientrare subito a Torino e dunque lo scalo durò meno di due ore. Da allora il Torino paga come un debito alla malasorte, e il mito del Cuore Toro nasce di fatto da quel giorno. Ricorderete il 15 ottobre 1967, la morte di Luigi Meroni: la Farfalla granata fu falciata da una Fiat 124 Coupé guidata da Attilio Romero, che allora aveva 19 anni ed era super tifoso del Torino e 23 anni più tardi sarebbe divenuto presidente del club. Non solo: ai più attenti non era sfuggito come il nome del pilota di quel maledetto volo schiantatosi su Superga fosse proprio Pierluigi Meroni. Una storia di pianti e lutti quella del Torino; quel giorno del maggio 1949 però resta una tragedia per tutto lo sport italiano, la perdita di una squadra che ancora oggi, quando è passato più di mezzo secolo, viene giustamente ricordata come una delle più forti di tutti i tempi, forse addirittura la più forte che abbia mai calcato i campi da gioco del nostro Paese.