Con Andy Murray in vetta al ranking ATP – ufficialmente da oggi, perchè è di lunedì che vengono pubblicate le classifiche aggiornate – si apre di fatto una nuova era nel tennis mondiale. Lultima volta era stata il primo febbraio 2004: il giorno seguente Andy Roddick avrebbe ceduto lo scettro del comando a Roger Federer. Sono passati dodici anni e poco più di nove mesi: da allora il primo posto della classifica mondiale è stato un affare riservato tra lo svizzero, Rafa Nadal e Novak Djokovic, che dal 7 luglio di due anni fa a ieri è stato il miglior giocatore ATP senza discussioni.
Limpresa di Andy Murray è straordinaria: è riuscito a scalzare dalla vetta un giocatore che sembrava non avere rivali, che aveva conosciuto sì qualche pausa ma dava la sensazione di poter decidere a piacimento quando alzare il piede dallacceleratore. Non nel 2016: reduce da un anno pazzesco nel quale ha sfiorato il Grande Slam di calendario e ha vinto 11 titoli, anche Djokovic ha sentito il peso della responsabilità e della fatica. Quando sei il numero 1, contro di te tutti danno il 120%; la nuova generazione di tennisti (da Alex Zverev a Dominic Thiem) unita a quella di mezzo (i Marin Cilic, i Kei Nishikori e i Milos Raonic) è ancora lì che prova a dare fastidio, e dominare è diventato sempre più difficile.
Poi cè Murray: un giocatore che magari non avrà la straordinaria qualità di Federer, la grinta e la potenza di Nadal o la fantastica concentrazione e tenuta mentale di Djokovic, ma che avesse giocato in unepoca appena precedente a questi tre avrebbe forse qualche titolo in più. Questanno lo scozzese ne ha vinti ben 8: tra questi Wimbledon (terza volta), le Olimpiadi (seconda consecutiva) e tre Master 1000 (Roma, Shanghai e Parigi-Bercy, conquistato ieri superando John Isner) che hanno fatto salire il totale a 14. Quello che manca è il Master, dove finora non è mai arrivato nemmeno in finale. Dovesse prendersi il titolo, Murray chiuderebbe anche il 2016 al numero 1 del mondo, chiudendo così la striscia di Djokovic – che in questo modo non potrebbe inseguire il record di Pete Sampras, sei stagioni consecutive terminate in testa al ranking.
Murray merita la vetta della classifica: è passata tanta acqua sotto i ponti da quel primo titolo ATP a San José (aveva meno di 19 anni), ma nel corso del tempo lo scozzese ha dimostrato di saper trasformarsi da giocatore prettamente difensivo in attaccante convincente, di saper lavorare sulla testa (spesso il suo limite) e di affidarsi ai maestri giusti. Il rapporto di lavoro con Ivan Lendl è stato se vogliamo un fantastico paradosso: lui che mai è riuscito a vincere Wimbledon, perdendo nettamente due finali consecutive e portandosi dietro una sorta di maledizione, da allenatore ha portato Murray a trionfare sullerba di Londra spezzando il sortilegio che gravava sui giocatori britannici. Poi cè stata Amélie Mauresmo, che gli ha insegnato le virtù di colpi che non fossero solo martellamenti da fondo dopo che il cecoslovacco naturalizzato americano gli aveva messo in testa come non fosse sempre necessario aspettare che lavversario sbagliasse.
Da Ilie Nastase, primo numero 1 ufficiale, Murray è il ventiseiesimo giocatore in vetta al ranking ATP; con i suoi 29 anni e mezzo inoltre è secondo al solo John Newcombe (che nel giugno 1974 aveva 30 anni da pochi giorni) a portarsi in testa alla classifica mondiale per la prima volta. Niente male davvero, ma il suo 2016 non è finito qui: adesso ci sono le Atp Finals, il primo appuntamento nel quale guarderà tutti dallalto in basso e un altro obiettivo da conquistare per la prima volta in carriera.
(Claudio Franceschini)