Il Manchester United sta letteralmente cadendo a pezzi sotto i colpi della scellerata gestione Louis Van Gaal. Il tecnico olandese, arrivato sulla panchina dei Red Devils dopo la breve parentesi Moyes, si è subito imposto con i suoi metodi lavorativi rigidi sia all’interno che all’esterno dello spogliatoio. Tutto questo però, anziché contribuire alla creazione di un nuovo ciclo vincente e glorioso, ha innalzato un muro spesso e invalicabile tra tecnico e ambiente.



Nel termine ‘ambiente’ facciamo rientrare media, giocatori e società; ovvero un trittico assai scomodo che i migliori allenatori devono dimostrare di saper possedere, non di esserne posseduti. Ebbene, Van Gaal ne è stato travolto fin dal suo esordio. Se aggiungiamo poi le opinabili mosse tattiche adottate dall’olandese e le sue costose quanto inefficienti strategie di mercato, il quadro che ne esce appare cupo e desolante.



Per quanto riguarda il primo aspetto citato, Van Gaal si caratterizza per adottare un approccio burbero, indisponente e insofferente, rintracciabile nel comportamento da lui tenuto durante le interviste post partita e in conferenza stampa. Ogniqualvolta il Manchester United è stato clamorosamente sconfitto da avversari ben più deboli – e in questa stagione è capitato più volte – Van Gaal ha scaricato tutta la sua rabbia sui giornalisti. Sfoghi evitabili e fuori luogo che non fanno altro che sottolineare la fragilità delle certezze di un allenatore che non è ancora riuscito a calarsi nella realtà delle Premier League.



Sir Alex Ferguson, indimenticato allenatore dello United, aveva una teoria tutta sua per descrivere il rapporto da tenere con il mondo dei media: ‘Non bisogna mai mostrarsi preoccupati con la stampa: mostrare loro i tuoi dubbi non aiuta la squadra e non aumenta le tue possibilità di vittoria in una partita’. Un autocontrollo razionale e ragionato totalmente assente in Van Gaal che sovente si è dimostrato irritato da domande o articoli scomodi dando la possibilità ai giornalisti di versare fiumi d’inchiostro riguardo la crisi di uno dei club più prestigiosi d’Inghilterra. A farne le spese, oltre che il tecnico stesso, in prima battuta ci sono giocatori e società.

Giocatori sull’attenti, fulminati da un semplice sguardo e che diano del lei al proprio allenatore: questo è in sintesi il rapporto instaurato da Van Gaal con gli elementi della propria rosa. Il tecnico olandese viene descritto come un vero e proprio sergente di ferro, fautore di una filosofia inossidabile tanto che chi non la rispetta viene tagliato fuori senza distinzione di nome, qualità o ruolo. Nel settembre 2015, secondo un’indiscrezione del Times, una delegazione di giocatori si lamentò con Van Gaal per i suoi metodi di allenamento, giudicati troppo duri, e per il suo credo calcistico, appuntato di essere eccessivamente rigido.

Risposta del tecnico: nessun cambiamento. Lo schema di gioco adottato da Van Gaal è ineffetti particolare e prende spunto dal leggendario Calcio Totale praticato in Olanda dall’Ajax e dalla Nazionale Oranje a cavallo tra gli anni ’60 e ’70. Un’ideologia chiara, definita da dogmi imprescindibili e capace di ispirare il 3-1-3-3 di Van Gaal, trapiantato in quel di Manchester. In un contesto simile ci sono principalmente tre regole da rispettare: 1) i difensori marcano a zona e non partecipano alla costruzione della manovra, 2) il playmaker davanti alla difesa, in caso di occorrenza, deve essere pronto a trasformarsi nel quarto difensore e 3) gli esterni di centrocampo si muovono come pendoli su e giù per le fasce, contribuendo alla creazione di spazi assieme all’imprevedibilità di un trequartista e di due mezzepunte.

Il Manchester United ha utilizzato spesso questo modulo ottenendo risultati tutt’altro che eccellenti. Per avere la perfetta sincronia dei movimenti serve la perfetta padronanza di un metodo che non può esser assimilato in breve tempo. Chi non esegue il giusto movimento viene pesantemente rimproverato da Van Gaal che pretende una squadra organica dal primo all’ultimo minuto di gioco in ogni partita. Diversi top players hanno pagato il loro mancato adattamento alla rigida filosofia di Van Gaal con la cessione. Basti pensare a Radamel Falcao, corpo estraneo nella manovra dello United, incapace per caratteristiche di concretizzare una manovra fatta di movimenti e contromovimenti come quella richiesta dal tecnico olandese.

O anche a Robin Van Persie, uno dei protagonisti dell’ultima Premier conquistata da Ferguson nonché buon goleador anche sotto la gestione Van Gaal, finito al Fenerbhaçe a causa di qualche prestazione giudicata non all’altezza. O a Chicharito Hernandez, ceduto al Bayer Leverkusen la scorsa estate per il medesimo motivo di Van Persie. Ma anche al freddo atteggiamento adottato da Van Gaal con i due portieri Victor Valdes e David De Gea con il secondo poi riammesso in squadra dopo una clamorosa esclusione. Più esplicito Di Maria che ha descritto cosí il suo rapporto con Van Gaal: ‘Non andavo d’accordo con il tecnico, per cui la decisione di andare al Psg penso fosse la migliore cosa da fare. Non aveva senso restare allo United dopo aver rotto con Van Gaal’. Anche Alex Ferguson è stato un allenatore-sergente. Lo scozzese ha sempre preteso il massimo rispetto dai suoi giocatori sia dentro che fuori dal rettangolo verde ma, a differenza di Van Gaal, non ha mai imposto un’ideologia fissa al Manchester United quanto piuttosto una mentalità.

Nel 4-4-2 di Ferguson chi scendeva in campo doveva attaccare, soprattutto nei minuti finali, mettendoci grinta e cuore. Certo, non sono mancati dissidi tra Ser Alex e alcuni giocatori (Beckham, Roy Keane, Van Nisterlooy), ma a monte c’era sempre una motivazione. In sostanza quando un giocatore, per carattere o mediaticità, arrivava a sovrastare l’allenatore, doveva essere ceduto. Solo così lo scozzese riusciva a mantenere il controllo totale sullo spogliatoio. Una delle differenze sostanziali tra Ferguson e Van Gaal è che il primo si limitava ad essere al di sopra dei giocatori mentre il secondo è andato oltre imponendo non solo il suo comando dispostico sugli atleti ma anche sulla società, avendo più volte costretto i Glazer a soddisfare i suoi capricci con costosi quanto inutili acquisti.

Un’altra pecca enorme di Van Gaal è stata quella di non aver capito il limite della propria filosofia, inapplicabile ad una squadra ‘cantiere aperto’ come il Manchester United del post Ferguson. Più tifosi/stampa/giocatori lo facevano notare, più Van Gaal si incapponniva nel suo credo patologico e poco pragmatico: ‘Devo guardare i giocatori, parlarci e controllarli; non posso stare dietro alle richieste dei tifosi – dichiarò l’olandese – perché quelli dello United sono 600 milioni in tutto il mondo e non posso tener conto di 600 milioni di opinioni’.

Il tecnico, appena approdato sulla panchina dello United, fu subito chiaro in un’intervista rilasciata al Telegraph: ‘Io ho una filosofia solida però prima di tutto devo capire in quanto tempo sarà recepita dai miei giocatori. Non ho mai lavorato con la maggior parte di loro quindi dobbiamo aspettare e vedere’. Ad oggi possiamo dire con certezza che no, la filosofia di Van Gaal non è stata ancora recepita da una squadra ancora in fase di transizione.

La pazienza di uno dei club più importanti del mondo ha un limite, anche se ti chiami Louis Van Gaal e sei considerato un santone della panchina. Già perché fin quando il timone dei Red Devils era nelle mani di Ferguson il Manchester United aveva una pianificazione minuziosa portata avanti dallo scozzese che consentiva alla squadra di migliorare stagione dopo stagione.

Giocatori troppo avanti con gli anni o inadatti alle esigenze di Ser Alex venivano rimpiazzati da elementi già affermati (Tevez, Berbatov) ai quali si aggiungevano sempre diversi giovani promettenti: i ‘ricambi’ da utilizzare nel futuro. Basti pensare agli acquisti intelligenti che portano il nome di Nani, Evans, Jones e Cristiano Ronaldo, Ashley Young, Valencia, De Gea e tanti altri.

Una programmazione ciclica che ha portato risultati eccellenti nella bacheca dei Diavoli Rossi. Dopo l’addio di Ferguson, né Moyes prima tanto meno Van Gaal dopo sono riusciti ad inaugurare una nuova pianificazione per dar vita ad una nuova era. Il tecnico olandese ha pensato bene di puntare tutto su giocatori costosi ma poco funzionali alla propria filosofia; elementi che, separati dal loro contesto naturale, hanno fatto fatica (e fanno tutt’ora fatica) nello schema vangalliano.

Dal suo arrivo sulla panchina del Manchester United Louis Van Gaal ha speso la bellezza di 335 milioni di euro: era il 2014 e ad oggi il club non ha portato a casa nessun trofeo. In questa stagione sono due i nomi che confermano la scellerata pianificazione di Van Gaal: Martial (50 milioni di euro) e Schneiderlin (35). Si ‘salvano’ per la loro giovane età Depay (27 milioni di euro) e Darmian (18) e Schweinsteiger (9) per il rapporto qualità-prezzo. L’apice dello spreco è stato però raggiunto nel 2014 quando arrivarono allo United Di Maria (oltre 80 milioni di euro), Herrera (36), Shaw (40), Rojo (20 più Nani) e Blind (18).

Per la cronaca: Di Maria ha giocato una sola stagione all’Old Trafford salvo poi esser ceduto al Psg per 63 miilionid di euro. Insomma, invece di affidarsi allo scouting e all’arguzia, Van Gaal ha attinto a piene mani alle riserve economiche pressoché infinite del club salvo poi esserne travolto. Per adesso l’olandese resta al suo posto ma quanto durerà la pazienza dell’ambiente?

(Federico Giuliani)