Ci ha lasciati a 68 anni. La morte dell’olandese solleva un moto di emozione e commozione nel mondo del calcio. Come quando se ne andarono George Best o Alfredo Di Stefano, la sensazione è che si sia “perso” (virgolette d’obbligo) uno dei più grandi di sempre. Come giocatore, senza ombra di dubbio; come allenatore, anche.
L’Italia ha generalmente del Cruyff allenatore un’immagine piuttosto chiara: le dichiarazioni di superiorità alla vigilia della finale di Coppa dei Campioni, e lo 0-4 con cui tornò a casa, demolito ad Atene da un Milan privo di Baresi e Costacurta. Ricordo indelebile e non romanzato; quello che però si tende a dimenticare è che quel Barcellona veniva da un ciclo in cui aveva vinto quattro campionati consecutivi (ci è riuscito solo lui nella storia blaugrana) e aveva messo in bacheca la prima coppa dalle grandi orecchie di sempre.
Numeri e statistiche a parte, il Dream Team di Johan Cruyff (questo il nome con cui era conosciuto) nasce dalla prima azione della finale Mondiale del 1974: il celeberrimo minuto di palleggio con cui l’Olanda arrivò a guadagnare un rigore senza che la Germania vedesse mai il pallone. Olanda e Barcellona, un legame indissolubile: il calcio totale fu portato in Catalogna da Rinus Michels, il “padre sportivo” di Cruyff. Johan lo sublimò negli otto anni di panchina al Camp Nou.
Il tiki taka di Guardiola, il Barcellona degli Illegali, il tridente MSN dei giorni attuali: senza Johan Cruyff, nulla sarebbe esistito. Se oggi il Barcellona gioca con il lo deve al suo allenatore olandese; possesso palla e velocità, verticalizzazioni e fraseggi nello stretto, attaccanti intercambiabili e soprattutto il playmaker di centrocampo spostato lateralmente, concetto che prima Rijkaard e poi Guardiola (che era il regista di Cruyff) avrebbero ripreso con Xavi.
La filosofia del Cruyff allenatore sta tutta nei suoi aforismi: “giocare a calcio è semplice, ma giocare un calcio semplice è la cosa più difficile che ci sia”. Ovvero: tocchi di prima, geometrie, movimenti coordinati. Ancora: “Devi essere al posto giusto nel momento giusto, nè troppo presto nè troppo tardi”. Forse non avete mai visto giocare i Bakero, i Guardiola, gli Stoichkov, i Laudrup e i Romario; avrete però visto i Messi e gli Iniesta, i Neymar e gli Henry. La filosofia di Cruyff installatasi a Barcellona, per sempre.
E ancora: ricordate la celebre frase di Guardiola “se la palla ce l’abbiamo noi, gli avversari non possono segnare”? Anni prima di lui, Cruyff disse che “la palla è una sola, quindi è necessario che tu ce l’abbia”. Tradotto: io faccio possesso e controllo il ritmo. “Nessuna squadra corre così poco come il Barcellona” è un altro dei suoi pensieri. Sì, il Barcellona deve tanto al Cruyff allenatore. Forse gli deve tutto, anche quando non ha lesinato stilettate e critiche alle versioni meno vincenti del tempo recente.
Gli deve tanto a livello tattico, gli deve molto come filosofia, gli deve tutto per quello che ha simboleggiato negli anni. Ha avuto tanti campioni: un Pallone d’Oro come Stoichkov, un favoloso finalizzatore come Romario, due cervelli straordinari come Laudrup e Guardiola. Era un altro dei suoi capisaldi: “I risultati senza qualità sono noiosi”. Diceva anche “la qualità senza risultati è inutile”: la sua carriera ha dimostrato quanto fosse vero.
(Claudio Franceschini)