Oggi Muhammad Alì, al secolo Cassius Clay, avrebbe compiuto 75 anni. Ha fatto in tempo a festeggiare il 74esimo compleanno: si è spento a Scottsdale il 3 giugno scorso, consumato dalla sindrome di Parkinson che lo aveva colpito da tempo (gli fu diagnosticata nel 1984). Da più parti, e quasi allunanimità, è riconosciuto come il pugile più grande di tutti i tempi, una delle icone sportive del XX secolo e addirittura Sportivo del Novecento (secondo un sondaggio condotto da Focus Storia); la sua carriera parla di 56 vittorie (37 per ko), ma al di là dei numeri messi insieme la figura di Alì è trasfigurata nel mito per il suo incredibile carisma, come si è ampiamente visto quando, alle Olimpiadi di Londra 2012, portò ufficialmente la bandiera allinterno dello stadio (aiutato dalla moglie Lonnie) generando una reazione difficilmente descrivibile negli spettatori e nei milioni di persone incollate agli schermi. Prima ancora, a 13 anni dal ritiro ufficiale, aveva acceso il tripode ai Giochi di Atlanta nel 1996; nelloccasione il Comitato Olimpico gli aveva anche riconsegnato la medaglia doro che aveva vinto a Roma nel 1960. Uno degli episodi più famosi nella carriera di Alì: allora si chiamava ancora Cassius Clay e arrivava dal Kentucky, era un dilettante e come tale partecipò alle Olimpiadi vincendole, ma tornato a casa un ristoratore della sua città si rifiutò di servirlo in quanto nero. Sdegnato, Clay gettò la medaglia nel fiume Ohio in sprezzo al suo Paese; questo fu quanto raccontò lui, perchè la vicenda non fu mai accertata e alcuni amici personali negarono il fatto. Sia come sia, la restituzione della medaglia ad Atlanta fu di grande significato. 



Raccontare nel dettaglio i fatti nella carriera di Muhammad Alì è difficile: sicuramente merita uno spazio la Rumble in the Jungle, ovvero lincontro che si disputò nel 1974 in Zaire (oggi Repubblica Democratica del Congo) tra lui e George Foreman, ovvero il pugile che aveva sconfitto Joe Frazier e Ken Norton, unici due in grado di battere Alì. Il quale, al grido di Alì boma ye (Ali uccidilo) vinse per KO allottava ripresa con una strategia che i suoi stessi allenatori definirono sorprendente, evitando cioè di ballare e saltellare sul ring come aveva abituati ma subendo invece i colpi di Foreman per quasi tutto lincontro, lasciando che le corde attutissero i pugni e poi caricando a sua volta una volta che lavversario si era stancato. Lanno dopo avrebbe battuto Joe Frazier a Manila, nelle Filippine, per ritiro dellavversario, ma erano gli sgoccioli di una favolosa carriera: lultimo match è quello del dicembre 1981 contro Trevor Berbick, perso ai punti (decisione unanime): già allora il suo allenatore aveva riscontrato quelli che sarebbero stati individuati come i primi sintomi del Parkinson. Il lascito di Alì come detto è straordinario: non solo le 56 vittorie, anche i riconoscimenti di sportivo del secolo (Sports Illustrated) e personalità sportiva del secolo (BBC), oltre allappellativo di The Greatest. Non solo: convertitosi allIslam (nel 1964), per motivi religiosi rifiutò di combattere in Vietnam – subendo larresto per renitenza alla leva – e privato del titolo iridato, ma riuscì a far invalidare la sua condanna e, naturalmente, lepisodio lo fece immediatamente diventare un simbolo per la controcultura di quegli anni turbolenti.



Leggi anche

Diretta/ Italia Islanda (risultato finale 74-81): non basta l'orgoglio, Azzurri ko (oggi 25 novembre 2024)