Adesso raccontano di un Giampiero Ventura che dopo la partita di Solna avrebbe rassegnato le dimissioni. Ci dicono – le solite indiscrezioni, le fonti vicine, i retroscena dallo spogliatoio – che il CT si sia fatto imporre la formazione dai senatori, che però a San Siro, una volta ricucito a forza il rapporto, la squadra sia stata la sua. Come quando litighi con qualcuno e, un po per orgoglio e un po per compromesso, cedi da una parte ma pretendi dallaltra. Resto, ma adesso giocano i miei. LItalia fuori dal Mondiale dopo 60 anni è un fracasso: almeno tre generazioni hanno vissuto nella ferma convinzione che ogni quattro anni si potesse tirare fuori la maglia azzurra e la bandiera tricolore, spalancare le finestre e mettersi davanti alla televisione. Lanno prossimo no: la fredda Russia sarà ancora più lontana. Non solo: se allarghiamo il discorso, la Nazionale andava a Mondiali o Europei dal 1994. Più o meno il periodo in cui si stava per sublimare (con la finale di Pasadena) il progetto con cui Azeglio Vicini trapiantò in prima squadra la sua Under 21 finalista due anni prima e gettò le basi per il grande sogno casalingo e, appunto, per i rigori a stelle e strisce. Bei tempi: lItalia a casa no, non ce la sognavamo nemmeno, eppure oggi è realtà. 



I processi a dirla tutta erano già iniziati, e inevitabilmente ci saranno. Siamo un popolo di allenatori diceva qualcuno, ed è purtroppo vero: dal divano del salotto buono siamo tutti capaci di dire la nostra. Sparando nel mucchio inevitabilmente qualcuno (forse molti) ci azzecca, ma la riflessione è ampia e non si può ridurre a Tizio doveva giocare e Caio no oppure a il modulo era sbagliato. Perchè diciamola tutta: se siamo fuori dai Mondiali non è (solo) perchè Insigne era in panchina e Candreva in campo, se in Russia non ci andiamo non è (solo) perchè Ventura ha scelto il 3-5-2 e non il 4-2-4. E parte del problema, non è tutto il problema. Certo cè che Giampiero Ventura ha fallito: se diventa lui il primo CT – dai tempi della Commissione Tecnica guidata da Gipo Viani – a non andare al Mondiale qualcosa vorrà dire. Non aveva i talenti? Non li aveva nemmeno il suo predecessore (il nome lo faremo dopo, ma è noto a tutti) eppure a momenti arrivava in semifinale agli Europei con un progetto che tutti avevano bollato come debole. 

LO SPETTRO DI CONTE

Già, Antonio Conte. Fatevi un giro sui social: cè unalta percentuale di italiani che oggi (ma già nei giorni scorsi) rievoca il salentino. Il quale arrivò dopo il doppio fallimento Mondiale (con una finale europea che sembrava più intermezzo che altro), prese una nazionale senza troppo talento o certezze, le diede la grinta e il sangue agli occhi che lui possiede in prima persona e la guidò ad un passo dal fare fuori la Germania campione del Mondo. Si dice: Conte con un gruppo forse anche più scarso ci ha fatto sognare. Vero: forse però uno dei tanti problemi nasce da quellItalia. Nasce dal fatto che dopo due Mondiali con figuracce sovrane (per chi scrive anche peggiori di quella svedese) la Federazione abbia scelto la strada del risultato immediato. Perchè si sapeva che Conte sarebbe durato per lo spazio degli Europei. Si sapeva che più che costruire avrebbe provato a vincere. Si sapeva che la crescita del movimento avrebbe dovuto aspettare. Ancora: qualcuno sostiene addirittura che il trionfo di Berlino, il po po po e la trasfigurazione di Fabio Grosso, abbiano come fatto da calmante o stimolante (scegliete voi): un Mondiale vinto fuori dal contesto, che ci ha illusi di essere i più forti. Notate qualcosa? Sì: è successo lo stesso nel basket. Oro europeo e argento olimpico, ma invece di ripartire da quello e costruire dal basso, il movimento si è seduto su quei successi convinto di essere perfetto. Da quel momento, linesorabile declino. Evidentemente, a livello federale (in generale) bisogna ripassare qualcosa. 

IL TRACOLLO DI MADRID

Tutto quanto di cui sopra merita, come giusto che sia, unanalisi approfondita che chi di dovere dovrà affrontare. Ciò detto, in campo ci vanno i giocatori e in panchina cè un allenatore. O Commissario Tecnico, o selezionatore. Torniamo allincipit: al Ventura cui viene imposta la formazione, al Ventura lasciato solo, al Ventura che punta su Jorginho (meno di mezzora in azzurro) e Gabbiadini (non era titolare da oltre due anni) per la partita più importante. Perchè? Perchè ha davvero voluto giocare con i suoi? Perchè, ormai senza idee, ha tentato la via del caos rivoluzionario che trova un insperato ordine? Forse non lo sapremo mai, ma resta un sospetto: che il tracollo del Bernabeu abbia segnato linizio della fine (e non parliamo del secondo posto nel girone). Fino ad allora Ventura aveva impostato il 4-2-4 puntando fortissimo su Lorenzo Insigne (quattro volte titolare a sinistra); lo 0-3 in terra iberica lo ha messo alla berlina (non si può giocare contro la Spagna in quel modo il riassunto della critica) e da quel momento il gruppo è parso perdere tutte le sue certezze, come dimostrato dalla vittoria stentata contro Israele e dal pareggio interno contro la Macedonia. Arriva il playoff e Insigne gioca 15 minuti su 180, si rivede Jorginho e cè Florenzi. Cose alla Dr. Jekyll e Mr. Hyde, se non fosse che ci giocavamo un Mondiale. 

VENTURA PAGA PER TUTTI?

La sensazione forte – ma potrebbe essere un abbaglio – è che il pass per la Russia labbiamo perso a Madrid. Perchè diciamola tutta: fino ad allora lItalia aveva fatto bene, giocava bene, produceva gol e Ventura aveva tutto sommato recensioni positive. Da quel momento in poi, nessuno (pochi) gli ha più perdonato anche una singola scelta. Perchè il CT abbia scelto il ritorno al 3-5-2 è difficile da dire; di certo, come diceva Johan Cruyff, giocare a calcio è semplice ma giocare un calcio semplice è la cosa più difficile. Ventura non si è messo nelle condizioni di andare al Mondiale: troppa confusione nei moduli e nei giocatori, e non è tanto un discorso sui singoli (anche se Insigne in campo lavremmo visto volentieri) quanto su come abbia perso il polso della situazione, provando a mescolare le carte senza troppo costrutto. E lui il vero colpevole? Lo è chi lo ha messo lì? Lo sono i giocatori, incapaci di segnare un misero gol a una squadra che ha passato la metà campo due o tre volte? Vai a saperlo, ma noi sposiamo le parole di De Rossi che, a chi gli parlava di sangue e sudore, ribatteva parlando di qualità e giocate. Esattamente: lorgoglio è bello, si tramanda e può aiutare, ma a calcio bisogna anche saperci giocare.

COSA SUCCEDE ADESSO?

Sia concessa un’ultima riflessione. In passato di fronte ai flop nazionali la risposta fu drastica: spazio agli oriundi che avevano vinto altrove, numero di stranieri ridotto in campionato, addirittura le frontiere chiuse. Chi scrive però è sempre stato convinto di una cosa: per emergere tra i migliori devi confrontarti con loro. Servirebbe a poco imporre un numero massimo di stranieri in campo: il ventenne del settore giovanile, se è bravo, si fa notare comunque. Il punto non è tanto che il giovane non ha spazio perchè ci sono gli stranieri (è solo parte del problema), quanto che a 22-23 anni è mediamente considerato acerbo e inadatto. Prendete la Germania: dopo il fallimento del Mondiale casalingo (perchè fu un fallimento: l’obiettivo era vincere senza discussioni), ma a dire il vero anche prima, i vertici federali hanno deciso di investire fortemente sui settori giovanili, vale a dire affrontare il problema alla radice e non trovare l’incollatura temporanea. Risultato? Da un anno con l’altro i campioni d’Europa Under 21 (li allenava un certo Horst Hrubesch) furono trapiantati in prima squadra. Neuer, Khedira, Jerome Boateng, Ozil e poi anche Thomas Muller, Kroos e Marko Marin che avevano qualche anno in meno: erano tutti al Mondiale 2010, dove la Germania arrivò in semifinale e gettò le basi per il trionfo brasiliano. Se guardiamo ai nostri giovani, per esempio quelli che arrivarono secondi nel 2013, il piatto piange: cinque di loro – solo cinque – erano tra i convocati di ieri ma uno (Gabbiadini, come detto) era quasi fuori dal progetto, di molti si sono perse le tracce o qualcosa di simile. Alcuni magari non meritavano di essere nella Nazionale maggiore, altri si sono persi da soli, altri ancora l’occasione non l’hanno mai avuta. Resta il problema: invece della soluzione nell’immediato, varrebbe forse la pena ricostruire. E’ più difficile e faticoso, ma probabilmente anche più redditizio.