Claudio Ranieri non è più lallenatore del Leicester. Per tutti i romantici del calcio è la fine di una favola che però, se vogliamo, è linevitabile chiusura di un cerchio; per altri, è il peggiore epilogo tra i tanti che le Foxes avrebbero potuto scegliere. E singolare che Ranieri saluti tutti allindomani della sconfitta di Siviglia: Jamie Vardy si era ritrovato al momento giusto e il suo gol teneva in vita il Leicester in Champions League, eppure a Sor Claudio è stato dato il benservito. Come a dirgli, in unipotetica versione zuccherata: meglio che tu non sia qui quando lultima barca affonderà.

Quartultimo in Premier League a +1 sulla zona retrocessione, il Leicester ha fallito il secondo anno: il calcio moderno fagocita tutto e tutti, non ricorda il passato (anche recente) e se il tuo mestiere è quello dellallenatore non puoi essere mai tranquillo. Ci sono due chiavi di lettura per districarsi nellesonero di Ranieri, al netto della fronda inglese (ha avuto probabilmente il suo peso ma è una conseguenza dell’andazzo): la prima è quella manageriale.

Vinto un epocale e impronosticabile titolo nazionale Vichai Srivaddhanaprabha, Mr. King Power, si è trovato in mano una squadra dal grande valore economico. Ha commesso lo stesso errore che fu dellInter post-Triplete: con la sola eccezione di Kante (andrebbe aperto un capitolo extra sul reinvestimento di quei 32 milioni di sterline) ha confermato tutti, anche quel Jamie Vardy corteggiato a peso doro dallArsenal – si dice che sia voluto restare lui, dopo averci riflettuto a lungo – perdendo una grande occasione di rinnovare il progetto, ridargli linfa, creare motivazioni extra. Realisticamente, cosa si sarebbe potuto chiedere di meglio a questi ragazzi che avevano già compiuto un miracolo?

Ed eccoci allora alla seconda chiave di lettura, che non è necessariamente slegata dalla prima: quando il Leicester vinse la Premier League, chi scrive avallò la tesi di unimpresa non spiegabile con tattica e raziocinio ma semplicemente con una stagione magica. Così era, così è rimasto: nelle favole, una volta arrivati ai lieto fine, il libro si chiude e tanti saluti a quanto potrebbe succedere dopo. Qui abbiamo dovuto vivere quello che di solito non si scrive: la quotidianità dopo levento eccezionale. Ranieri lo sapeva bene: non a caso aveva parlato di salvezza come obiettivo minimo. In cuor suo avrebbe forse voluto andarsene à la Mourinho (cioè da eroe vincente e ancora con la coppa in mano) ma è rimasto per un ultimo giro in Champions League.

Lo hanno fatto scendere dalla giostra con la musica ancora accesa: toccherà ad altri prendere il premio – qualunque esso sia – salvare la baracca o spegnere le luci. Lammutinamento? Non sposta la vicenda, casomai la riassume idealmente: felici e contenti nelle vittorie, alle prime difficoltà gli eroi romantici di Ranieri ne hanno chiesto la testa. Anche Jamie Vardy, che in estate aveva rifiutato lArsenal per difendere la terra dei miracoli. Anche lui, del quale per un anno è stata decantata l’etica del lavoro derivata da anni in fabbrica a spezzarsi la schiena per tirar su due pound.

(A proposito: cosa rimane adesso di tutti quei momenti da romanzo? Della pizza impastata tutti assieme, della partita decisiva vissuta in un salotto in penombra, dei sorrisi e di Mahrez e Vardy inseparabili amici? Qui sta il punto: forse adesso è più chiaro che una stagione irripetibile ha amplificato e messo in una bolla staccata dal tempo tutti i particolari della vicenda. Tolto il filtro si vede la realtà per quella che è sempre stata).

Lui, sor Claudio, esce dal King Power Stadium a testa altissima con il dilly ding dilly dong ad accompagnamento: più di così non gli si poteva chiedere.

(Claudio Franceschini)