Questo neretto iniziale riassume i capitoletti di una storiella tutta Romana e tipicamente italiana. Si parla dello Stadio della Roma, una vicenda marginale per chi abita fuori dal raccordo anulare, più intrigante per i tifosi della Roma. Però da questa storia si capisce di più come funziona e funzionerebbe un paese a trazione grillina. La sindachessa Virginia Raggi nel giorno del giudzio finale sullo Stadio della Roma si ritira al Pronto Soccorso del San Filippo Neri per un eccesso di stress. Perché dubitare, del resto ieri era visibile a occhio nudo che la bella Virginia avesse una brutta faccia, come usavano dire i nostri vecchi. Nulla di grave. ma è anche vero che nella storia della politica e della finanza italiana tanti personaggi importanti, in situazioni “complicate”, si sono rifugiati in clinica: come dimenticare Silvio Berlusconi e la sua famosa uveite, o anche un notissimo uomo romano delle banche che affittò una stanza in un noto Ospedale di Roma, che era solito occupare quando le circostanze del lavoro si facevano difficili. Chissà che il vecchio Previti non abbia mandato un qualche consiglio alla sua giovane stagista. Che dire, in assenza di prove, le nostre sono leggere fantasie.
Comunque alle 19 in punto, la stoica sindachessa, dopo aver abbandonato la clinica, si è presentata in Campidoglio per incontrare i dirigenti della Roma. A prescindere dal risultato finale (il più classico dei pareggi democristiani), è utile ricostruire uno scenario. Il chiassoso e casinista Grillo va avanti a fare il comico e a esternare a suon di battute, i Di Maio vari parlano di regole da rispettare, di programmi ecc ecc e che lo Stadio della Roma alla fine si farà ma a modo loro, e soprattutto dove dicono loro. Questi giovani apprendisti si sono incartati e anche il mago di genova non sa più che pesci pigliare. L’ultima cartuccia che si sono inventati questi signori è il problema del terreno su cui edificare e le cubature che riguardano gli edifici adibiti a uso commerciale. Diciamo che su questo Stadio sono impiegati professionisti, anche internazionali, da più di 3 anni. Dovrebbe essere cosa risaputa, perchè resa pubblica a suo tempo, che la scelta del terreno dove costruire lo Stadio è frutto di una selezione che partiva da una ottantina di aree selezionate e vagliate con l’ausilio di Cushman & Wakefield. La Soprintendenza che ha dato parere negativo a questo progetto solo negli ultimi giorni, cosa ha combinato negli ultimi 2-3 anni? Dove si è nascosta quando la Giunta Marino dava il via libera al progetto dello Stadio della Roma? E’ sospetta la tempistica di quel parere negativo arrivato (o “strappato”) proprio nei minuti finali, mah…
Oggi, quindi, pare che anche i grillini siano per lo Stadio (leggendo il loro programma elettorale non si direbbe) ma vogliono costruirlo in un altro terreno che non sia Tor di Valle. E vogliono che James Pallotta e Luca Parnasi (il giovane e bel costruttore) rinuncino a gran parte del loro business commerciale. Ma forse la Raggi e i suoi, impegnati a fare demagogia e a non sporcarsi le mani, dimenticano che quel business permetterebbe di realizzare un’opera complessiva da 2miliardi di euro, comprese anche le infrastrutture e le opere pubbliche annesse, a costo zero per il Comune di Roma e i cittadini, e totalmente a carico del privato. Senza contare che sarebbero impiegate nel progetto quasi 10mila persone per la gioia anche dei sindacati uniti. Ma argometazioni cosi semplici e banali come, “diamo nuovo lavoro ai cittadini romani”, “costruiamo opere pubbliche”, “potenziamo i trasporti”, “risaniamo terreni che sono ormai discariche a cielo aperto”, non bastano a convincere neppure i grillini, maestri (fino a ieri) della comunicazione politica. Non capiamo il perché, davvero! Oppure, se cambiamo per un secondo la pospettiva, una qualche giustificazione la troviamo: i “padrini” politici della Raggi sono legati da amicizia secolare a grandi costruttori romani che non sono stati coinvolti nella realizzazione dell’opera di edilizia più imponente degli ultimi decenni.
Abbiamo citato nel titolo Caltagirone, perché come tutti sanno è il simbolo della grande tradizione dei costruttori romani, e per la vulgata è un pò la mente grigia di Roma e un grande tifoso gialorosso. Quindi, dicevamo, pressioni e mal di pancia di chi non è seduto al tavolo di questo grande affare potrebbero aver ideato e diretto questo grande teatrino, animato dai burattini della Raggi, di Grillo, di Berdini ecc. Questa è ovviamente fanta politica. Però se la realtà si avvicinasse in un qualche modo a questo scenario, dovremmo riconoscere che anche i grillini sono uomini e non marziani, che il potere lo conoscono (e lo frequentano) anche loro e che ne possono essere (a volte) condizionati. Non ci scandalizziamo noi, come non dovrebbero farlo neppure loro. Prima o poi dovranno prendere una qualche decisione, e le mani saranno costretti a sporcarsele se ambiscono veramente governare questo Paese e non a essere governati da altri più potenti di loro…
Stadio Roma, risultato finale Raggi-As Roma 1-1. “Tre torri eliminate; cubature dimezzate, addirittura il 60% in meno per la parte relativa al Business Park; abbiamo elevato gli standard di costruzione a classe A4, la più alta al mondo; mettiamo in sicurezza il quartiere di Decima che non sarà piu soggetto ad allagamenti; realizzeremo una stazione nuova per la ferrovia Roma-Lido…Abbiamo rivoluzionato il progetto dello stadio della Roma e lo abbiamo trasformato in una opportunità per Roma… le parole della sindachessa. Alla fine del teatrino, la classica chiusa democristiana. La Raggi e Grillo salvano la faccia facendo credere ai loro elettori di aver realizzato in un giorno (dal letto del Pronto soccorso) una rivoluzione copernicana del progetto, tagliando via di fatto le torri, e passando alla storia come i paladini contro gli speculatori edilizi. James Pallotta e la Roma rinunciano a una fetta di business (un pò di plusvalenza, per capirci) ma impongono di fatto alla Raggi lo Stadio così come lo volevano e a Tor di Valle, terreno su cui Grillo aveva giurato che mai lo avrebbero costruito. Vabbé, per una volta è bello pensare di aver fatto solo un lungo brutto sogno.