Alex Schwazer, il doping, le Olimpiadi e le squalifiche. Torna ancora una volta a parlare, in una intervista rilasciata a Tv2000, il tecnico Sandro Donato, paladino dellanti-doping che aveva provato a rilanciare il marciatore altoatesino dopo la prima squalifica, ripulendolo del tutto e organizzando lallenamento perfetto per le Olimpiadi di Rio 2016. Poi il buio, con la seconda squalifica e con le tante ombre arrivate con la decisione finale del Cio addirittura a pochi giorni dalla prima Marcia in Brasile. «Oggi non rilancerei la sfida sportiva insieme ad Alex Schwazer, questo per non mettere lui ed io nei guai. Cercherei piuttosto di aiutarlo in maniera più riservata affidandolo ad un’altra persona che non attiri su Alex odio e volontà di distruggerlo, sbotta Sandro Donati. Il doping, è stato tutta la vita a cercare di combatterlo e debellarlo, vicino agli atleti più reietti che nessuno voleva prendersi sotto lala protettiva dopo gli scandali. «Schwazer alle Olimpiadi avrebbe stravinto tutte e due le gare come aveva fatto al campionato del mondo di Roma dando un chilometro di distanza al campione olimpico. Lo scandalo dei russi dimostra in maniera chiara che aprivano e chiudevano le provette senza lasciare traccia. Quindi la questione raccontata dal sistema sportivo delle provette non manomissibili era una storiella. A Donati non è andato giù neanche quel controllo assai strano il primo giorno dellanno: «E il controllo del 1 gennaio non ha precedenti, non esistono controlli a sorpresa a Natale o Capodanno. In questa vicenda la stranezza è quel controllo non Schwazer, ha concluso Donati nellimportante intervista televisiva.
Una storia infinita che vede il caso Schwazer come ultimo capitolo della triste saga doping: dopo lammissione di colpa della prima grave squalifica del doping per il marciatore azzurro, la riabilitazione con Sandro Donati, la preparazione e la vittoria subito nel nuovo esordio al Campionato del Mondo di Roma. La parola complotto è quella che Donati e Alex hanno usato più volte dopo la seconda e definitiva squalifica subita durante le Olimpiadi di Rio: come riporta nel suo focus Oa Sport, «il nodo del contendere è il periodo di tempo in cui la provetta famigerata rimane nella sede dellagenzia che la Iaaf incarica dei prelievi, fra le 15 del primo gennaio 2016 e le 6 del 2, a Stoccarda, visto che il laboratorio di Colonia, il primo giorno dellanno è chiuso. A detta dei legali di Schwazer si tratta di un buco temporale ambiguo: «arrivate a Colonia (Germania) le analisi risulteranno negative al primo controllo e poi 4 mesi più tardi positive al secondo. Una rilevazione che evidenzia microdosi che solo un test molto accurato avrebbe potuto accertare, riporta la Gazzetta dello Sport. Non solo, passano poi 6 mesi fino alla definitiva sentenza, capitata in maniera ambigua alle porte delle Olimpiadi: dal controllo del primo gennaio 2016 alla positività comunicata il 21 giugno, con la difesa che non ha quasi avuto modo di svolgere la propria mansione. Da ultimo, il Tribunale Arbitrale dello Sport non è stato ancora capace di fornire delle risposte sulla famosa sentenza. La vicenda, come si può vedere, è tuttaltro che chiusa (Niccolò Magnani)