Un altro complotto contro la Juventus: così Leonardo Moggi definisce la vicenda che vede protagonista il presidente Andrea Agnelli, deferito dalla Procura della Figc con l’accusa di non aver impedito ai tesserati del club d’intrattenere rapporti con gli ultrà per il tramite e con il contributo di esponenti della malavita organizzata. «L’unico problema di Andrea Agnelli è di aver fatto troppo bene, ha dichiarato a Libero l’ex direttore generale bianconero, secondo cui, anziché fare indagini a tappeto per estirpare un fenomeno, si prende di mira il soggetto più importante e lo si dà in pasto ai media. «L’anno scorso per tre partite a fianco della panchina del Napoli ha stazionato un soggetto definito “pericolosissimo”, perché la Bindi all’Antimafia non ha fatto nulla, perché nessuno ha denunciato?, l’interrogativo di Luciano Moggi, secondo cui non c’è niente di vero nella storia della ‘ndrangheta. La vicenda dovrà finire con una multa per l’ex dirigente e in caso di condanna dovrebbero essere condannati tutti i presidenti delle società di calcio, perché «chiunque ha rapporti con le curve e regala biglietti per evitare il peggio. Agnelli non poteva conoscere, dunque, i trascorsi dei suoi interlocutori: «Ma ammettiamo anche che li conoscesse superficialmente, la Federazione dovrebbe tutelarlo, anziché lasciarlo esposto.
Nell’intervista rilasciata a Libero è tornato a parlare di Calciopoli, definito un “complotto” per incastrarlo: «Se l’Avvocato e Umberto fossero stati in vita certe cose non sarebbero successe. L’avvocato della Juve anziché difenderci chiese la retrocessione in Lega Pro della società. L’ex direttore generale della Juventus, però, preferisce non rivelare il nome del suo “killer”, ma consiglia di chiedere informazioni a tal proposito a Tavaroli, l’ex uomo di Pirelli che nel 2006 era responsabile della sicurezza di Telecom Italia: «Ti dirà da chi arrivò la richiesta della prima intercettazione a Giraudo. Ora Moggi aspetta la sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani per riabilitarsi: «Io ho elementi per sperare che la mia richiesta sia accettata. Ci vorrà, però, del tempo, circa sei anni. Nonostante lo scandalo Calciopoli e le conseguenze subite, Moggi resta legato alla Juventus, innanzitutto perché la società è cambiata notevolmente da allora: «Chiunque lavora nel calcio ha la Juve come esempio e obiettivo, perché è l’ambiente più serio e professionale del nostro mondo.
Non solo Juventus e Calciopoli: Luciano Moggi ha parlato anche delle altre realtà calcistiche italiane, senza trascurare la vicenda relativa agli arbitraggi e alle relative polemiche. Per l’ex direttore generale bianconero esiste una sorta di sudditanza psicologica nei confronti delle big: «Per fare carriera internazionale si devono arbitrare le squadre migliori e per arbitrarle si cerca di non sbagliare contro di loro, sennò si lamentano e il designatore non ti ci rimanda, ha spiegato a Libero. Non mancano i retroscena su Adriano Galliani, di cui non si è mai fidato. Come quella volta che morì Papa Wojtyla e lo chiamò il ministro dell’Interno Pisanu per far slittare di un giorno il campionato: «Ho scoperto che Galliani aveva brigato per slittare di una settimana per recuperare Kakà infortunato in tempo per la gara di Siena. Quando era a capo della Lega, invece, Galliani faceva giocare in campionato la Juventus il sabato, anche se doveva giocare il mercoledì in Champions, a differenza del Milan che giocava il martedì in Europa e la domenica in Italia. Ma nell’intervista a Libero c’è spazio anche per una battuta sull’ex arbitro Pierluigi Collina e quel famoso arbitraggio di Perugia: «Dovevo ritirare la squadra, non si poteva giocare su quel campo e dopo un’interruzione così lunga. Solo Collina si sarebbe potuto comportare così. Lui aveva un debole per il Milan e il Milan preferiva che vincesse lo scudetto la Lazio.