Svolta, l’ennesima, sul caso Andrea Agnelli e biglietti Juventus con presunte infiltrazioni della mafia calabrese: durante l’audizione dell’Antimafia ieri presieduta dall’on. Rosy Bindi, il procuratore federale della Figc, si “corregge” dopo aver sollevato un polverone sui presunti legami tra il presidente della Juve e alcuni esponenti della ‘ndrangheta (il boss Dominello) con una intercettazione che l’avrebbe provato. Ecco, quell’intercettazione non solo “non c’è più”, ma non “c’è mai stata”: ha del clamoroso quanto Giuseppe Pecoraro racconta nell’audizione di ieri, con sullo sfondo l’immagine di un grosso e terribile errore commesso. «L’intercettazione di cui si è parlato l’altra volta (fra D’Angelo e Calvo dell’agosto 2016, ndr), su cui sono state dette tante cose, è un’interpretazione che è stata data», spiega Pecoraro davanti all’Antimafia riunita ieri sul caso Juventus & biglietti. «Noi abbiamo dato una certa interpretazione, perché da quella frase sembrava ci fosse una certa confidenza fra Agnelli e Dominello, ma probabilmente era del pm quella frase. Anzi, da una lettura migliore la attribuisco al pubblico ministero», conclude il procuratore della Figc. La frase incriminata la riportiamo, era quella in cui si leggeva: «Hanno arrestato due fratelli di Rocco (Dominello, ndr). Lui è incensurato, abbiamo sempre parlato solo con lui». Ecco, come invece detto forse tropo frettolosamente in un primo momento, quelle parole non sono di Andrea Agnelli e tra l’altro non le avrebbe mai neanche sentite. Resta il problema per i dirigenti Juventus di una presenza abbastanza consistente nella tifoseria di frange di criminalità organizzata: «a noi interessa che i biglietti siano stati venduti da parte di soggetti malavitosi, c’è un interrogatorio dove si parla di fondi non solo per la famiglia ma anche per quelle dei detenuti», spiega ancora Pecoraro. Le parole poi che hanno fatto discutere ulteriormente sono quelle della stessa presidente Antimafia, Rosy Bindi, che da un lato conferma come l’intercettazione su Agnelli non esiste ma dall’altra rilancia «a noi basta sapere che le mafie in Italia arrivino persino alla Juve».
Dunque aveva ragione Michele Uva sul caso della Juventus con i biglietti venduti da frange della ‘ndrangheta? Uva era il direttore generale della Federcalcio all’epoca (oggi è membro dell’Esecutivo Uefa, ndr) e rispetto alla questione che tirava in ballo il presidente della Juventus affermava qualche giorno fa, «una inchiesta gonfiata da un pericoloso effetto mediatico». Forse a questo punto bisognerebbe riprendere quella dichiarazione, visto che dopo le ammissioni di Pecoraro di ieri non risultano effettivi legami provati tra Agnelli e il boss Dominello, fulcro dell’intero caso (appunto, mediatico) sui biglietti della Juventus. C’è poi un altro passaggio poco chiaro, visto che dopo quanto detto da Pecoraro, «forse c’è stata una errata interpretazione degli atti della Procura di Torino» è arrivata l’immediata replica dello stesso procuratore Armando Spataro, «”Il nostro ufficio si è limitato alla trasmissione degli atti richiesti dalla procura federale, senza esprimere alcuna interpretazione al riguardo». Insomma, il mistero continua…